Matdid: Materiale didattico di italiano per stranieri aggiornato ogni 15 giorni.
A cura di Roberto Tartaglione e Giulia Grassi -
Scudit, Scuola d'Italiano Roma

 
   

Giulia Grassi
 

ERAN TRECENTO,
ERAN GIOVANI E FORTI...

  
 
 

Alcuni testi sul Risorgimento. Un po' retorici, ma ...
 

 
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ADDIO A VENEZIA
(di Arnaldo Fusinato, 1849)

È fosco l'aere,
è l'onda muta,
ed io sul tacito
Veron seduta,
in solitaria
malinconia
ti guardo e lagrimo,
Venezia mia.

Sui rotti nugoli
dell'occidente
il raggio perdesi
del sol morente,
e mesto sibila
per l'aura bruna
l'ultimo gemito
della Laguna.

Passa una gondola
della città:
ehi della
gondola, qual novità ?
«Il morbo infuria,
il pan ci manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca».

No, non risplendere
su tanti guai,
Sole d'Italia,
non splender mai:
e sulla veneta
spenta fortuna
s'eterni il gemito
della Laguna.

Venezia, l'ultima
ora è venuta,
illustre martire
tu sei perduta;
il morbo infuria,
il pan ti manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca.

Ma non le ignivome
palle roventi,
nè i mille fulmini,
su te stridenti,
troncan ai liberi
tuoi dì lo stame:
viva Venezia, 
muor della fame!

Sulle tue pagine
scolpisci, o Storia,
le altrui nequizie
e la tua gloria,
e grida ai posteri
tre volte infame
chi vuol Venezia
morta di fame.

Viva Venezia!
feroce, altera,
difese intrepida
la sua bandiera;
ma il morbo infuria,
il pan le manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca.

Ed ora infrangasi
qui sulla pietra,
finché ancor libera,
questa mia cetra.
A te Venezia
l'ultimo canto,
l'ultimo bacio,
l'ultimo pianto!

Ramingo ed esule
sul suol straniero,
vivrai Venezia
nel mio pensiero;
vivrai nel tempio
qui del mio cuore,
come l'immagine
del primo amore.

Ma il vento sibila,
ma l'onda è scura,
ma tutta in gemito
è la natura:
le corde stridono,
la voce manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca.
 

Proclamazione della Repubblica di Venezia, 1848 (litografia del 1850 circa)

LA SPIGOLATRICE DI SAPRI
(di Luigi Mercantini, 1857)

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

     Me ne andavo al mattino a spigolare,
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
       era una barca che andava a vapore;
e alzava una bandiera tricolore;
all'isola di Ponza s'è fermata,
è stata un poco e poi si è ritornata;
s'è ritornata ed è venuta a terra;
     sceser con l'armi, e a noi non fecer guerra.

     Sceser con l'armi, e a noi non fecer guerra,
ma s'inchinaron per baciar la terra,
ad uno ad uno li guardai nel viso;
tutti aveano una lagrima e un sorriso.
      Li disser ladri usciti dalle tane,
ma non portaron via nemmeno un pane;
e li sentii mandare un solo grido:
«Siam venuti a morir pel nostro lido».

     Con gli occhi azzurri e coi capelli d'oro
       un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per la mano,
gli chiesi: «Dove vai, bel capitano?»
Guardommi e mi rispose: «O mia sorella,
vado a morir per la mia patria bella».
       Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: «V'aiuti 'l Signore!»

     Quel giorno mi scordai di spigolare,
e dietro a loro mi misi ad andare.
Due volte si scontrar con li gendarmi,
       e l'una e l'altra li spogliar dell'armi;
ma quando fur della Certosa ai muri,
s'udirono a suonar trombe e tamburi;
e tra 'l fumo e gli spari e le scintille
piombaro loro addosso più di mille.

             Eran trecento, e non voller fuggire;
parean tremila e vollero morire;
ma vollero morir col ferro in mano,
e avanti a lor correa sangue il piano:
fin che pugnar vid'io per lor pregai;
       ma un tratto venni men, né più guardai;
io non vedeva più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d'oro.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

 
 

di L. Mercantini (parole) e A. Olivieri (musica)



 

ALL'ARMI! ALL'ARMI!

       Si scopron le tombe, si levano i morti,
I martiri nostri son tutti risorti,
Le spade nel pugno, gli allori alle chiome,
La fiamma ed il nome d'Italia sul cor.
Corriamo! Corriamo! Su o giovani schiere,
Su al vento per tutte le nostre bandiere
Su tutti col ferro, su tutti col fuoco,
Su tutti col fuoco d'Italia nel cor.
        Va' fuori d'Italia! va' fuori ch'è l'ora!
        Va' fuori d'Italia! va' fuori, stranier!

       La terra dei fiori, dei suoni, dei carmi,
Ritorni qual era la terra dell'armi;
Di cento catene ci avvinser la mano,
Ma ancor di Legnano sa i ferri brandir.
Bastone Tedesco l'Italia non doma;
Non crescon al giogo le stirpe di Roma:
Più Italia non vuole stranieri e tiranni,
Già troppo son gli anni che dura il servir.
        Va' fuori d'Italia! va' fuori ch'è l'ora!
        Va' fuori d'Italia! va' fuori, stranier!

       Le case d'Italia son fatte per noi,
E là sul Danubio la casa de' tuoi;
Tu i campi ci guasti; tu il pane c'involi;
I nostri figliuoli per noi li vogliam.
Son l'Alpi e i due mari d'Italia i confini,
Col carro di fuoco rompiam gli Appennini,
Distrutto ogni segno di vecchia frontiera
La nostra bandiera per tutto innalziam.
        Va' fuori d'Italia! va' fuori ch'è l'ora!
        Va' fuori d'Italia! va' fuori, stranier!

 Sien mute le lingue, sien pronte le braccia,
Soltanto al nemico volgiamo la faccia.
E tosto oltre i monti n'andrà lo straniero,
Se tutto un pensiero l'Italia sarà.
Non basta il trionfo di barbare spoglie,
Si chiudan ai ladri d'Italia le soglie;
Le genti d'Italia son tutte una sola,
Son tutte una sola le cento Città.
        Va' fuori d'Italia! va' fuori ch'è l'ora!
        Va' fuori d'Italia! va' fuori, stranier!