SCUDIT,
SCUOLA D'ITALIANO ROMA, PRESENTA MATDID, |
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PREMESSA
Quando si studia una lingua straniera viene spesso la tentazione di mostrarsi perfettamente immersi nella cultura di cui quella lingua è espressione. Fino qualche volta a rischiare di diventare più realisti del re. Fra gli stranieri che studiano l’italiano, per esempio ho notato che qualcuno, per comportarsi “all’italiana”, passa con il semaforo rosso (tanto in Italia è permesso, no?) senza rendersi ben conto che la possibilità di essere falciati da una Fiat Panda ingenuamente convinta di poter passare col verde è piuttosto alta. Qualcuno poi l’ho sentito cantare a squarciagola su una bella terrazza romana in una romantica notte d’estate perché in fondo non è questo il paese del bel canto? Ed è stata la polizia chiamata dai vicini a spiegargli che le cose non stanno esattamente così. Ho visto perfino piangere una studentessa straniera pizzicata in autobus senza biglietto e costretta a pagare la multa: non piangeva per la multa, ma per l’ingiustizia subita! Perché hanno fatto la multa proprio a me se nessuno in Italia fa il biglietto? Non sarà razzismo? Ma uno dei modi più importanti per sentirsi “integrati” e quello di parlare come i nativi. E si sa: gli italiani usano spesso l’interiezione “cazzo”. Essendo nativo non mi scandalizzo più di tanto quando sento questa parola e confesso di essere io stesso fra quelli che in determinati contesti non disdegnano di usarla. Tuttavia devo anche dire di essere rimasto più volte imbarazzato quando ho sentito graziose studentesse nordeuropee dagli occhi azzurri e bionde come Cherubini pronunciarla fuori contesto e con una pronuncia tale da far arrossire un camionista della camorra addetto smaltimento clandestino di rifiuti urbani. Perché si sa, per le parolacce c’è un codice di comportamento non scritto che i madrelingua comunque padroneggiano e che gli stranieri possono acquisire solo con una lunga permanenza in Italia. Il discorso del resto non vale solo nel rapporto italiani-stranieri ma anche nel rapporto fra italiani di regioni diverse: una bestemmia pronunciata da un alpino di Belluno (con un grazioso accento veneto o friulano) suona ben diversa dalla stessa bestemmia pronunciata da un ministeriale romano (con un meno grazioso accento borgataro). Così è nata l’idea di approfondire un po’ i meccanismi linguistici che regolano l’uso del termine cazzo: non per invogliarne all’uso che anzi, se ne avessimo l’autorità, sconsiglieremmo vivamente a chiunque abbia soggiornato in Italia per meno di 10 anni. Ma solo per illustrarne la molteplicità degli aspetti, la varietà di contesti d’uso, la ricchezza di derivati e in sostanza la sua complessità semantica e grammaticale. Complessità che non essendo inferiore a quella del periodo ipotetico del terzo tipo o dell’uso del “non pleonastico” dopo un finché, dovrebbe suggerire agli studenti stranieri di accontentarsi in fase di apprendimento della lingua di una conoscenza passiva, rimandando le occasioni di uso attivo a tempi in cui sui loro certificati di competenza linguistica comparirà la scritta C1 o C2. Roberto Tartaglione
Non siamo certo i primi a notare che la frequenza d’uso del termine cazzo in italiano parlato sia incredibilmente alta: se è vero come è vero che le prime 1000 parole più utilizzate nella nostra lingua occupano oltre l’85% del nostro lessico quotidiano, non può lasciare indifferenti il fatto che questa, che in teoria dovrebbe costituire un tabù linguistico, occupi nel dizionario di frequenza d’uso dell’italiano parlato (noto come LIP)1, il ruolo numero 722, una posizione per intenderci più gratificante di quella di sostantivi come viaggio (781) e saluto (982). E se pensiamo che nella patria di Michelangelo il termine affresco sta al numero 5914, questo può far riflettere. Inoltre, considerando che il LIP è del 1993 e che da allora il linguaggio comune non sembra aver preso una direzione più speditamente lanciata verso qualche forma di particolare raffinatezza o eleganza metaforica, c’è da ritenere che, in una più aggiornata elaborazione di dati. il termine in questione possa occupare un ruolo perfino più rilevante2. Del resto, googlando senza impegno e confrontando la quantità di risultati del nostro termine in rapporto a quella di sostantivi che definiscono altre parti del corpo, non sorprendentemente scopriremo una frequenza sua d’uso assai maggiore rispetto a quella di termini che indicano altre parti del corpo umano non meno importanti (come braccio o naso). Paragonandolo invece con le occorrenze di altre diffusissime “parolacce” italiane troviamo (dicembre 2018):
«Quando una lingua si libera di alcuni
tabù si raggiunge uno stato di nuova innocenza. Ormai da tempo non
solo i ragazzi ma anche buona parte dei loro genitori credono
davvero che “casino” voglia dire soltanto “rumore” o “disordine”, e
anche persone di rango dicono “fichissimo” di un bel ragazzo, avendo
completamente dimenticato che il termine mascolinizza un pesante
apprezzamento una volta usato per il sesso opposto. C’è quindi la
possibilità che la prossima generazione ritenga in buona fede che
“cazzo!” voglia dire soltanto “perbacco!” e che “cazzeggio” sia un
sinonimo di “chiacchiericcio” già raccomandato dal Tommaseo. QUESTIONI GENERALI SULL’INSULTO E SULLA PAROLACCIA Classificare il termine cazzo all’interno della grande famiglia linguistica che va sotto il nome di “parolacce” è indubbiamente giusto: questa parola infatti fa parte di quel grosso gruppo di elementi lessicali o di locuzioni che nei dizionari sono marcati di solito dalla sigla volg. che ne sottolinea appunto la volgarità. Tuttavia, prima di osservare con più attenzione le possibilità di uso del termine all’interno della frase, vale forse la pena sottolinearne qualche aspetto più generale. Parlando di parolacce infatti si è soliti pensare soprattutto a quelle che servono per offendere qualcuno, alle parole o alle locuzioni che, per dirla con De Mauro 5, servono per ferire.Queste parole sono state studiate e suddivise in ambiti di riferimento in relazione alla propria diffusione. Molte di loro si riferiscono a
caratteristiche etniche o di provenienza geografica. Un grande numero di questi termini allude poi a professioni o mestieri, non certo offensivi in sé, ma visti in un loro aspetto deteriore. È il caso di accademico, gesuita, pecoraio, portinaia, intellettuale, shampista ecc. Molte parole, per ferire, tendono a sottolineare disabilità fisiche o mentali: è il caso di gobbo, cecato, nano, handicappato, zoppo, oppure di analfabeta, bestia, cerebroleso, cretino, imbecille ecc. In altri casi si sottolineano invece difetti morali (buffone, bugiardo, squallido, voltagabbana ecc.) o una condizione di inferiorità socio-economica (poveraccio, miserabile, pezzente, morto di fame ecc.) L’insulto si ottiene ricorrendo spesso a riferimenti ortofrutticoli (broccolo, crauto, finocchio, peracotta, rapa, zuccone ecc) o ancora più spesso a riferimenti animali (animale, bestia, asino, bue, vacca, cagna, caimano, squalo, capra, pecorone, pidocchio, coniglio, gufo, lucciola, pescecane, pidocchio, oca, gallina, gufo, rospo, sciacallo, verme, vipera ecc.) Le ingiurie naturalmente possono anche avere un richiamo alla sfera sessuale: tuttavia in questo caso non è certo il termine cazzo a farla da padrone. Infatti molte ingiurie se rivolte a donne alludono alla prostituzione o comunque a una certa disinvoltura sessuale (puttana, troia, mignotta, vacca, cagna ecc.) oppure se rivolte a uomini alludono alla scarsa virilità o all’omosessualità (frocio, finocchio, culo, checca ecc.) Termini anatomico-sessuali utilizzati direttamente come insulto non sono moltissimi (fra questi forse il più diffuso è coglione!) e si ricorre piuttosto a richiami escrementizi (merda, stronzo), ma certo non direttamente a cazzo che in sé e per sé non viene utilizzato “come parola per ferire”. Certamente in alcuni derivati o locuzioni la parola ha parecchie volte un riferimento alla stupidità (cazzone come stupidone, cazzata come stupidaggine), ma in gran parte dei casi il valore negativo non esiste (incazzarsi, cazzeggiare, essere scazzato) e talvolta ha addirittura senso positivo (cazzuto). Insomma: questa parola va certamente
considerata come volgare ed è certamente una “parolaccia”, ma dal
punto di vista del significato non è usata tanto come insulto ma
come interiezione, come marcatore di stati d’animo del parlante
molto forti: dall’essere fortemente indispettito (che cazzo vuoi?
E che cazzo!), all’essere fortemente contrario a qualcosa (col
cazzo!), dall’essere ammirato di qualcosa (che magari definiamo
coi controcazzi) all’essere abulico o disinteressato (non
me ne frega un cazzo!). Assolutamente incerte sono le origini
etimologiche che si sono finora ipotizzate. Altri hanno supposto una relazione col greco
akation/akatos8,
proprio del linguaggio marinaresco per indicare l’albero maestro
della nave: e del resto sempre dal linguaggio marinaresco si
potrebbe supporre qualche relazione col verbo “cazzare” (capitiare)
che significa tirare/spingere la fune per manovrare le vele.
Ipotesi suggestiva è ancora quella che si
rifà invece al latino catulus11. Il Glossario Latino-Eugubino della prima
metà del Trecento13,
ci conferma che la traduzione del latino “mentula” (in siciliano >
minchia) corrisponde a quello che in Umbria si chiama
“cazzo”. Mentula id est lo caçço : a quel tempo dunque il
significato volgar-sessuale del termine nell’Italia centrale appare
ben definito. Fastel, messer fastidio de la cazza, Insomma, per andare sul sicuro, ci pare più logico accettare che la prima attestazione scritta del termine cazzo nel significato che anche modernamente gli diamo, sia in un sonetto di Meo dei Tolomei, poeta della corrente giocoso-realistica della fine del XIII secolo, confuso spesso col coevo Cecco Angiolieri, con cui condivide stile e temperamento poetico incline al vituperio 17Ché s’ tu temessi
vergogna nïente, Da Meo dei Tolomei in poi il termine troverà sempre più spazio, certo nel linguaggio quotidiano, ma anche nella letteratura giocosa e burlesca. E ancora nel Trecento, nelle rime di Franco Sacchetti troveremo (CXXIIb, 9): Ch’io ho il cazzo mio, ch’è tanto vano Dal Cinquecento in poi le attestazioni d’uso
di questo termine si moltiplicano a dismisura: nel Candelaio di
Giordano Bruno19
compare fra l’altro col valore di interiezione, proprio così come la
si userebbe ai giorni nostri, nelle frasi: Sempre nel Cinquecento era stata pubblicata La Cazzaria, opera di Antonio Vignali20, Accademico degli Intronati. Si tratta di un piccolo capolavoro osceno che prendendo spunto dal topos letterario del ritrovamento di un manoscritto in cui si tratta “delle ragioni e delle circostanze del fottere”, si sviluppa in un dialogo sodomitico-godereccio in cui non si manca di fare riferimenti alle vicende politiche della Siena di allora. Dello stesso periodo I Sonetti lussuriosi di Pietro Aretino21, ispirati alle incisioni erotiche di Marcantonio Raimondi. Il linguaggio dei sonetti è, manco a dirlo, piuttosto esplicito: Questo cazzo vogl'io, non un tesoro! E più tardi, fra gli insospettabili, troveremo Antonio Canova (“Oh cazzo cazzo! Osaste mai credere ch’io mi fossi montata la testa per il Cavalierato 22?”) o Giacomo Leopardi (“La vera letteratura di qualunque genere sia non vale un cazzo con gli stranieri23”)Insomma, sia pure in un continuo dilagare
dell’uso di questo termine, la parola resta comunque per secoli
confinata al gergo volutamente volgare e quindi propria della
comunicazione familiare, di quella dialettale, regolarmente
all’interno di un pubblico maschile, o propria della letteratura
“lussuriosa”, giocosa o erotica. Imprecazione / interiezione Cazzo! – Questa è l’esclamazione volgare numero 1 in italiano, attestata in questo suo ruolo, come abbiamo visto, almeno fin dal Cinquecento. Sottolinea di solito qualsiasi forma di emozione, da quella più spiacevole (una brutta sorpresa) fino a quella più piacevole (una bella sorpresa). In questo senso la stessa imprecazione funziona per situazioni diametralmente opposte: davanti a un pessimo piatto di lasagne è possibile sentir dire cazzo, che cattive! e davanti a un ottimo piatto di lasagne è possibile sentir dire cazzo, che buone!Il 13 gennaio del 2012 al largo dell’Isola del Giglio, quando la nave da crociera Costa Concordia sta per affondare, il comandante non si mostra all’altezza della situazione e sembra voler abbandonare l’imbarcazione prima dei passeggeri. Il Capitano De Falco, che coordina i soccorsi da terra, prende in mano le redini della situazione e, in una famosa e concitata telefonata gli intima: salga a bordo, cazzo! La frase (in cui l’interiezione assume un ruolo particolare anche per il fatto di essere inserita in un contesto di formalità sottolineato dalla forma verbale “salga”, con il lei e non con il tu) diventa tanto famosa da trasformarsi in vero “modo di dire”, citato in mille situazioni e riportato perfino in scritte sopra le magliette. L’esclamazione può essere colorita, o anche caratterizzata a seconda delle situazioni, attraverso alcuni rafforzativi. In particolare: Ma cazzo! – Esprime principalmente contrarietà e disappunto. Corrisponde in qualche modo a un ma no!, ma non è possibile!; è frequente in situazioni colloquiali in cui si voglia mostrare solidarietà e partecipazione all’interlocutore o comunque esprimere disappunto e rammarico per un inconveniente. Qualcuno ci dice per esempio che nonostante i suoi sforzi è stato bocciato a un esame: noi reagiamo con un ma cazzo, mi dispiace; ma cazzo, non è giusto; ma cazzo, non me l’aspettavo. L’effetto principale è quello di mostrare la propria delusione per un evento sostanzialmente inatteso e certamente non sperato. Oh cazzo! - Sottolineare una grande sorpresa ma anche una certa impreparazione a affrontare una situazione inaspettata. Con parole meno volgari l’esclamazione potrebbe essere corrispondere a un oh, che sorpresa, oh perbacco, e adesso? Per esempio: è finita la benzina e la macchina si è fermata improvvisamente: oh cazzo, e dove lo trovo un benzinaio adesso? Che cazzo / E che cazzo! (anche nella forma eccheccazzo!) - rispetto alle esclamazioni precedenti manifesta una sorta di intolleranza, di reazione dura e infastidita da parte del parlante che sembra battere il pugno sul tavolo per reagire con decisione davanti a un evento: eccheccazzo, adesso basta! eccheccazzo, stavolta non ho intenzione di restare zitto e buono! In sintesi, davanti allo stesso evento
(immaginiamo l’arrivo inaspettato di Antonio a casa) abbiamo almeno
queste possibilità: Valore di sì / no La stessa imprecazione, usata in modo
assoluto e con enfasi (richiede infatti un’intonazione particolare,
simile a quella che usiamo nelle interrogative) corrisponde a un
come no?, sì, naturalmente! eccome! cioè a un’affermazione
molto sentita. Per significare no abbiamo invece due
varianti: un cazzo!, che significa un al contrario!
Per manifestare un esito diverso da quello previsto. Quindi ancora
alla domanda ti sei divertito in vacanza è possibile
rispondere un cazzo! (no, per niente, chi se l’aspettava? Ha
piovuto sempre!). In questo caso si può rafforzare proprio con un
sì, che la forma un cazzo contraddice immediatamente: Col cazzo!
- Ha valore di no, ma stavolta provocatorio verso il
nostro interlocutore. In sintesi, alla domanda andiamo al cinema a vedere quel film? Possiamo rispondere: - Cazzo!
(sì, volentieri!, enfasi quasi interrogativa) Valore di “niente” Un cazzo
sostituisce in un numero grandissimo di frasi l’indefinito niente,
anzi quello che spesso in un linguaggio meno triviale sarebbe “un
bel niente”. Allo stesso modo sostituisce niente
in tutte le forme del tipo niente + da + infinito verbale.
C’era una vorta un re cche ddar palazzo
In alcuni casi diventa sinonimo di cosa,
faccenda, affare, situazione. In particolare
Del cazzo
- La formula del cazzo, postposta a un qualsiasi sostantivo,
ne sottolinea la bassa qualità, la poca credibilità, connotandolo
come non accettabile o non conveniente. Cazzo di
- La formula cazzo di, che invece è preposta a un sostantivo,
corrisponde per lo più a (un certo) tipo di, qualsiasi,
qualsivoglia, qualunque, con la connotazione negativa di
insignificante, senza caratteristiche accettabili particolari. Valore modale A cazzo
esprime una modalità caratterizzata da scarsa coerenza, nessuna
programmazione, mancanza di obiettivi. In particolare. Coi controcazzi
(o anche coi cazzi e i controcazzi, su modello di “coi
fiocchi e i controfiocchi”) - Potrebbe equivalere a
assolutamente ben fatto: Rafforzativo dopo particelle interrogative Dopo le particelle interrogative chi,
cosa, come, dove, quando, quanto e perché serve a
rafforzare la domanda. Se le particelle sono già rafforzate da un
ma, questo non ne impedisce comunque l’utilizzo: Nelle regioni del nord, le frasi interrogative introdotte da che/cosa/che cosa + cazzo possono perdere proprio la particella interrogativa che/cosa/che cosa: Che cazzo guardi? = cazzo guardi?
Locuzioni Faccia da/di cazzo
– si dice a chi dopo aver fatto qualcosa di sbagliato o comunque
qualcosa di cui vergognarsi, mostra un’espressione impertinente o
strafottente, tutt’altro che pentita. È, se si vuole,
un’estremizzazione di faccia da schiaffi: come questa
sottintende l’impulso di malmenarne il portatore.
Testa di cazzo – offesa che si rivolge a chi riteniamo abbia sbagliato, a chi secondo noi ha commesso un errore, sia di piccola che di grande entità. Corrisponde più o meno a stupido, idiota e l’intonazione usata nel pronunciarla ne sottolinea l’intensità, da quella leggera e benevola quando la dirigiamo verso noi stessi (che testa di cazzo sono stato a non pensarci prima!), a quella più violenta e aggressiva quando la rivolgiamo contro chi ci ha fatto qualcosa (sei un grandissimo testa di cazzo!) Locuzioni e derivati verbali Avere certi cazzi (per la testa) – Avere problemi da risolvere, essere nei guai: scusa se non ti ho telefonato ma questo periodo ho certi cazzi…Cacare il cazzo – disturbare pesantemente: mi telefona tutti i giorni; deve smetterla di cacarmi il cazzo!Cazzeggiare – passare il tempo con qualcuno dicendo cose divertenti o frivole: ieri sera siamo stati in un pub con gli amici e abbiamo cazzeggiato un po’ Cazziare – rimproverare duramente: per quello che ho detto sono stato cazziato pesantemente. Essere scazzato – annoiato, abulico, indifferente Fare schifo al cazzo – fare schifo, essere disgustoso: quella minestra etnica che ci hanno offerto ieri sera faceva schifo al cazzo. Farsi i cazzi propri/altrui – si dice che l’undicesimo comandamento sia “fatti i cazzi tuoi” Incazzarsi – sinonimo di arrabbiarsi. Altissima la sua frequenza d’uso. Se continui a dire così mi fai incazzare, sai? Levarsi / togliersi dal cazzo – versione poco elegante di levarsi dai piedi, allontanarsi: ancora qui sei? Levati dal cazzo, non ti sopporto più! Non me ne frega / fotte un cazzo – Non mi interessa per niente: vuole chiedermi scusa? Non me ne frega un cazzo, non ho intenzione di perdonarlo. Rompere (scassare, frantumare ecc.) il cazzo – disturbare (rispetto a cacare il cazzo è meno violento e talvolta anche scherzoso): paghi sempre tu il caffè! La smetti di rompere il cazzo con la tua gentilezza e lasci pagare anche me? Sbattersene il cazzo – disinteressarsi vistosamente (rispetto a non me ne frega un cazzo è più pesante e volgare): me ne sbatto il cazzo delle tue ragioni! Adesso proprio non ne posso più di starti a sentire! Scazzarsi - scazzarsi con qualcuno vuol dire litigare con qualcuno su un determinato argomento: io e Antonio siamo molto amici, ma quando parliamo di politica ci scazziamo sempre. Ma scazzarsi, in assoluto, può anche avere il senso contrario a quello di incazzarsi: se ti incazzi fai due fatiche: prima per incazzarti e poi per scazzarti. Sentirsi stocazzo – avere un atteggiamento di superiorità, comportarsi come persona superiore agli altri: solo perché ha fatto un po’ di soldi adesso si sente stocazzo! Stare sul cazzo
– essere molto antipatico,
insopportabile: Antonio è simpatico, ma sua moglie mi sta un po’
sul cazzo. Cacacazzi – si dice di chi caca il cazzo, cioè disturba pesantemente: in ufficio nessuno lo sopporta perché è un gran cacazzi Cazzabbubbolo – stupidone, persona sciocca e presuntuosa Cazzaro – persona che dice cazzate: può essere sinonimo di simpatico (è un gran cazzaro e quando racconta le sue storie mi fa morire dal ridere) o avere il senso negativo di chi dice cose false per sembrare più importante di quello che è, millantatore (non stare a credere a quello che racconta: è solo un cazzaro!) Cazzata – sciocchezza, stupidaggine. A volte è sinonimo di cosa frivola e divertente (è simpatico perché spara un sacco di cazzate), a volte ha valore negativo (quel film è una gran cazzata). Cazzeggio – l’atto del cazzeggiare, di passare il tempo in compagnia allegramente sparando divertenti cazzate: ogni tanto un po’ di cazzeggio con gli amici rende la vita più serena. Cazzerellone – tipo sempre disponibile a fare scherzi e a giocare, uno giocherellone. Può avere un valore di leggera simpatia o anche marcare l’aspetto di stupidità: non conosco bene Antonio ma per quel poco che ho visto mi sembra un cazzerellone (una persona allegra disponibile al gioco). Cazziata / cazziatone – il rimprovero, l’atto del cazziare: si è arrabbiato molto con me e mi ha fatto un cazziatone terribile. Cazzone – veramente stupido, colpevole di ingenuità senza giustificazioni, persona che parla a sproposito e comunque di scarsa intelligenza: ha sposato una donna di 50 anni più giovane di lui e non capisce che lei lo ha fatto per soldi: crede che sia innamorata! Che cazzone! Cazzuto – fornito di tutti gli attributi, veramente di alto livello, in gamba: ha fatto un bel discorso cazzuto! Incazzatura – l’atto dell’incazzarsi, arrabbiatura: adesso l’incazzatura mi è passata, ma fino a ieri ero proprio nero! Fancazzismo – la filosofia del non fare un cazzo, l’arte del non fare niente, pigrizia, immobilità: in quell’ufficio sono tutti malati di fancazzismo Fancazzista – Malato di fancazzismo, fannullone: certo che non trova lavoro! Chi lo assume un fancazzista come lui? Incazzoso – irascibile, impulsivo, pronto ad arrabbiarsi: come mai sei così incazzoso? Ti è successo qualcosa? Rompicazzo – disturbatore. A volte è detto benevolmente (che rompicazzo il mio dottore: dice sempre che devo smettere di fumare!), altre volte in modo davvero infastidito (tutti i giorni mi telefona un rompicazzo che mi propone un nuovo contratto telefonico!). Scassacazzi – come rompicazzo ma più marcato: i miei vicini di casa sono dei veri scassacazzi. Scazzo – litigata. Supercazzola
– invenzione linguistica nel film di
Mario Monicelli Amici miei, una delle parole inserite in un
discorso non-sense che confonde l’interlocutore. L’intero
discorso non-sense è oggi definito supercazzola. Gli eufemismi Eufemismo è un modo di sostituire l’espressione diretta di idee o concetti ritenuti sgradevoli, o censurati dal “comune senso del pudore”, con espressioni velate, che designano per vie indirette ciò che non si vuole chiamare col suo nome 25.Per grandi linee si può affermare che gli
eufemismi si usano soprattutto per velare parole che in qualche modo
ci fanno paura (perbacco invece di per dio, ostrega
invece che ostia, un brutto male invece che cancro);
per manipolare un concetto a nostro vantaggio (missione di pace
invece che guerra, ritocco delle tariffe invece che
aumento), per rispetto del politicamente corretto (terza età
invece che vecchiaia, paese in via di sviluppo invece
che sottosviluppato)26. Notissimo è il sonetto di Giocchino Belli, Er padre de li santi, in cui in soli 15 versi cita oltre quaranta modi (in gran parte romaneschi) per designarlo: Er cazzo se pò ddí rradica, uscello,ciscio, nerbo, tortore, pennarolo, pezzo-de-carne, manico, scetrolo, asperge, cucuzzola e stennarello. Cavicchio, canaletto e cchiavistello, er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo, attaccapanni, moccolo, bbruggnolo, inguilla, torciorecchio, e mmanganello. Zeppa e bbatocco, cavola e tturaccio, e mmaritozzo, e ccannella, e ppipino, e ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio. Poi scafa, canocchiale, arma, bbambino: poi torzo, crescimmano, catenaccio, mànnola, e mmi’-fratello-piccinino. E tte lascio perzino ch’er mi’ dottore lo chiama cotale, fallo, asta, verga, e mmembro naturale. Cuer vecchio de spezziale disce Priàpo; e la su’ mojje pene, seggno per dio che nun je torna bbene27. Ma al di là delle numerose parole regionali
che lo esprimono (minchia siciliano, pirla lombardo,
belin ligure, ciula piemontese, bischero
toscano ecc.) in italiano standard ci sono decine e decine di
oggetti, di ortaggi, di nomi astratti, strumenti musicali ecc. che
possono designarlo. Ma nella maggioranza dei casi gli eufemismi, antichi e moderni, sono parole che richiamano il termine censurato per una qualche relazione di forma o di uso. Solo fra quelli più documentati citiamo: affare; ammennicolo; antenna; arma; arnese; asta; attrezzo; bacchettone; balestra; banana; bastone; batacchio; batocco; battocchio; bigolo; biscotto: cannocchiale; cannone; catenaccio; cetriolo; chiavistello; chiodo; cippa; ciufolo: clarinetto; clava; cosa; coso; cosone; fagotto; fava, flagello; flauto; fucile; gingillo; lancia; manganello; manico; mazza; membro; mentula; moccolo; nave; nerbo; nerchia; obelisco; ordigno; organo; pacco; palo; pannocchia; pendolo; pendolone; pene; pennello; pertica; pesce; piffero; piolo; pipino; pipolo; pirolo; pirulino; pisello; pistola/pistolino: pistone; proboscide; randello; salame; salsiccia; sberla; scettro; spada; spiedo; spuntone; strumento; sventrapapere; trapano; tubo; vanga; verga; walter; zeppa; zucchina; zufolo30.Radio: “Voi e io, punto a capo”, 25 ottobre 1976 Cesare Zavattini, lo sceneggiatore dei grandi film di Vittorio de
Sica come Ladri di Biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D,
L’oro di Napoli, La Ciociara, Il giudizio Universale, Ieri, oggi,
domani, Matrimonio all’italiana, i Girasoli, ma anche di
Bellissima di Luchino Visconti o di Il Sicario di Damiano
Damiani, è stato un intellettuale dalle mille sfumature, scrittore,
sceneggiatore di fumetti, commediografo e anche pittore. Bizzarro che il regista della trasmissione radiofonica, certamente non entusiasta della licenza di Zavattini, fosse Beppe Grillo. Chissà se il suo linguaggio politico di quarant’anni dopo e la sua invenzione del Vaffa day non abbia risentito di questa esperienza. Televisione: Rai 1, aprile 2001
Riccardo De Corato, Franco Pontone e Salvatore Ragno (senatori di Alleanza Nazionale, partito di destra): "Se si ricorre alla volgarità fin dal titolo per far parlare del proprio programma, vuol dire che Celentano e la sua ben nutrita pattuglia di autori, capeggiata da Michele Serra, non hanno più idee" Gustavo Selva, presidente dei deputati dello stesso partito: "La Rai, servizio pubblico, ha definitivamente abdicato al suo ruolo fondamentale. Con le 'cazzate' si ottiene, per di più utilizzando i soldi dei contribuenti, il risultato opposto" Giovanni Nencioni, presidente emerito dell'Accademia della Crusca, custode della tradizione linguistica italiana: "La scelta provocatoria di Celentano non può di per se essere censurata da un punto di vista strettamente linguistico, perché si tratta di una parola a tutti gli effetti italiana e assai diffusa, anche se ancor oggi respinta da un pubblico di cultura medio alta o lontano alle cadute di gusto". Oliviero Toscani, pubblicitario: "Finalmente il coraggio di sposare il linguaggio della gente, Rai o non Rai: era ora che si iniziasse ad avvicinare il linguaggio televisivo a quello parlato. E' assurda questa discrasia tra il modo di parlare, i termini e le espressioni usati comunemente dalla gente e il modo in cui i mezzi di informazione, e soprattutto la televisione, comunicano" Giulio Romieri, presidente della BRW & Partners: "Per il nuovo programma di Celentano si è assistito ad una vera e propria campagna pubblicitaria, pianificata dalla a alla z, ideata e realizzata per creare aspettativa e per farne parlare. Sicuramente il titolo farà discutere, ma fa parte del personaggio: è stato studiato ad hoc" Pippo Baudo, presentatore televisivo: "Il titolo non è che sia volgare, è soprattutto inutile. Mi ricorda i bambini che vogliono dire una parolaccia per stupire a tutti i costi e dimostrare che sono adulti. Oltretutto, non è più neanche una parolaccia...". Giuseppe Giulietti, deputato dei Democratici di Sinistra: "È una autentica "cazzata" aprire un dibattito sul titolo di una trasmissione. Mi rendo conto che l'espressione non è oxfordiana, ma a Montecitorio ho sentito di peggio" Fabio Mussi, capogruppo alla Camera dei Democratici di Sinistra: "L'importante è evitare di fare "cazzate" in tv. Sarebbe meglio proibire in tv le apparizioni di Bossi, che dice cose molto più gravi e pesanti" Mario Landolfi, presidente della Commissione di Vigilanza della Rai (destra):"Celentano è Celentano e quindi non ha bisogno di stupire a tutti i costi per fare audience" Vittorio Emiliani (consigliere Rai, di sinistra): "Celentano ha scelto per il suo titolo una delle parole più usate nel parlare quotidiano. Farne materia di scandalo è curioso" L'Osservatorio dei diritti sui minori parla di "insulto perpetrato principalmente ai danni dei soggetti in età evolutiva" e Antonio Marziale invita la Chiesa a "ritirare la licenza di trasmettere le funzioni liturgiche su RaiUno" Il MOIGE (Movimento italiano genitori) assolve Celentano. "Ben venga un gergo entrato nell'uso comune della gente, specie dei giovani", spiega Maria Rita Munizzi:"Siamo perplessi di questo facile e banale moralismo con cui si mette all'indice un linguaggio più deciso" I Frati Francescani di Assisi si inseriscono nel dibattito con un detto latino:"Sapientis est mutare consilium". Tradotto: "Cambiare idea è cosa saggia". Padre Enzo Fortunato, portavoce del Sacro convento, spiega: "Ci siamo espressi in latino perché crediamo nell'intelligenza di chi è chiamato a gestire il servizio pubblico". Cinema Tanto va la gatta al lardo34,
film a episodi di Marco Aleandri, 1978 Nello scompartimento di un treno, occupato
da persone d’alto bordo che rappresentano l’Italia perbenista e
conservatrice (un magistrato, un generale, una nobildonna, uno
studente di giurisprudenza e un sacerdote) entra un tifoso del
Napoli rozzo e ignorante, reduce dall’aver visto una partita allo
stadio. Libri: Porci con le ali e altri titoli Nel 76 esce il romanzo Porci con le ali, con sottotitolo diario sessuo-politico di due adolescenti, Rocco e Antonia 35. Il romanzo vuole rappresentare le esperienze umane e politiche dei due giovani protagonisti, calandole nel contesto culturale dell’atmosfera universitaria di quegli anni (siamo poco prima delle rivolte studentesche del 77 e due anni prima dell’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse).Il libro scandalizza i benpensanti sia per il contenuto sia per il linguaggio che- volenti o nolenti – corrisponde però a quello più usato dai giovani del periodo. Il termine cazzo è ripetuto 87 volte. In 85 pagine. In conversazioni più o meno di questo tenore: «Aho, Antonia, che cazzo succede? Sei incazzata? Ti ho fatto qualcosa? Perché cazzo non rispondi, lo sai che mi fai diventare scimunito. Hai litigato con tua madre?» Per quanto riguarda più in particolare i libri pubblicati che abbiano nel titolo un’espressione volgare o una parolaccia, è stato calcolato che rispetto agli anni ’60, i libri con un titolo volgare sono aumentati di 13 volte negli anni ’90 e di 29 volte negli anni 2000. Se la tendenza resterà costante, entro la fine di questo decennio saranno aumentati di 36 volte36. Non che nel passato questi fossero assenti (abbiamo già citato la Cazzaria del 1531): ma l’aumento di occorrenze volgari certamente è esponenziale. Non è necessario fare troppi esempi: dalla (divertentissima) serie Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano37 del 1997, al romanzo di Aldo Busi Cazzi e canguri (pochissimi i canguri)38 del 2002, fino al certamente meno pretenzioso libro della cantante Gianna Nannini Cazzi miei39 del 2016, il repertorio è estremamente vasto.
Va detto naturalmente che la canzone è stata
da sempre il “luogo pubblico” dove arrischiarsi con una certa
spregiudicatezza nel turpiloquio, almeno nel caso di canzoni
destinate a un pubblico che si definisce “di nicchia” e non certo
radiofonico o televisivo (pensiamo alle osterie o ai canti
goliardici); ma anche in tempi un pochino più puritani dei nostri se
non il turpiloquio almeno il doppio senso nelle canzoni poteva far
parte del gioco (il Kobra che Donatella Rettore canta negli
anni Settanta o il gelato al cioccolato che il Pupo canta
negli anni Ottanta non sembrano propriamente riferirsi a dolciumi e
a serpenti). Non staremo qui a citare i fin troppo numerosi esempi a disposizione: basterà ricordare per quanto riguarda il repertorio umoristico la rielaborazione di Gigi Proietti del celebre brano francese Ne me quitte pas di Jaques Brel, tradotto con Nun me rompe er ca (1978). Per quanto riguarda canzoni in dialetto ricordiamo Je so pazzo di Pino Daniele con il verso Je so’ pazzo, je so’ pazzo, nun ce scassate ‘o cazzo! (1979). E per le canzoni con testo in italiano basterà ricordare solo il verso so quello che faccio e sento di fare questo e tu non c’entri un cazzo, amico, da Nessun pericolo per te di Vasco Rossi (1996). Politica e linguaggio giornalistico Del linguaggio volgare della politica se n’è
occupato di recente Giuseppe Antonelli: dal «Votami perché parlo
meglio (e dunque ne so più) di te» si è passati al «Votami perché
parlo (male) come te». Come la pubblicità, come la televisione,
anche la politica alimenta il narcisismo dei destinatari, i quali –
lusingati – preferiscono riflettersi che riflettere. Il meccanismo
del ricalco espressivo innesca una continua corsa al ribasso. Un
circolo vizioso che toglie al discorso politico qualunque forza
propulsiva, qualunque dinamismo41. Gli esempi
sono superflui. Anche qui gli esempi sono superflui: ma basterà digitare la parola in analisi sul motore di ricerca Google-notizie per aver un repertorio infinito di quello che De Mauro rilevava, repertorio (ci sia a questo punto consentita un’opinione personale) francamente poco edificante e molto fastidioso. NOTE [1] LIP, TULLIO DE MAURO e al., Lessico di frequenza dell’italiano parlato, 1993, Milano, Etas Libri
[2]
GIUSEPPE ANTONELLI, Lingua,
in Modernità
italiana. Cultura, lingua e letteratura [3] ITALO CALVINO, Una pietra sopra: discorsi di letteratura e società, Einaudi, 1980 [4] UMBERTO ECO, La bustina di Minerva, Bompiani 2011: sul cazzeggio 1999) [5] TULLIO DE MAURO, Le parole per ferire, 27 settembre 2016, in Internazionale, https://www.internazionale.it/opinione/tullio-de-mauro/2016/09/27/razzismo-parole-ferire [6] Etimo cattia, Vocabolario Etimologico Italiano di Angelico Prati (1951): l’ipotesi etimologica è condivisa da Nora Galli de Partesi, Le brutte parole, semantica dell’eufemismo, Mondadori 1973 [7] Etimo ocazzo, F. Crevatin , Breviora Etymologica. In Paideia, XXXII, soluzione per cui propende il Bolelli, in Dizionario etimologico della lingua italiana. Milano 1989 [8] Etimo akation, C Battisti – G Alessio Dizionario etimologico italiano (DEI). Firenze 1954 Barbera. [9] Etimo capitium , Ottorino Pianigiani Vocabolario etimologico della lingua italiana. Roma, 1907, idea definita “improponibile” da Paolo Martino in “Capperi, preistoria di una esclamazione” in Scritti in onore di Eric Pratt Hamp, 2010 [10] Etimo capulum in Paolo Martino (cit. in nota 7) [11] Etimo catulus, Leonardo Angelici in http://www.latramontanaperugia.it/articolo.asp?id=5140 [12] Etimo capitiare, Lupis A. (2002). La lingua dei lanzi fiorentini con una nuova ipotesi su it. cazzo. In Johannes Kramer (Hrsg.), Italienische Sprache und Literatur an der Jahrtausendwende: Beiträge zum Kolloquium zu Ehren von Ignazio Toscani (Trier, 19. und 20. Januar 2001). Buske Verlag, 39-58. [13] Glossario latino-eugubino (GLE) , Maria Teresa Navarro Salazar 1985. Codice: A,4,5 della Biblioteca del Real Seminario de San Carlos (Saragozza). Il codice miscellaneo consta di 133 fogli, di cui 73 riservati alla trattazione di aspetti morfosintattici della lingua latina e ai lessici latini (tra cui si trova anche il nostro glossario, da 61r a 86r). L’autore è Ugovino Angeli, magister e console del quartiere di S. Martino a Gubbio. La datazione risale alla prima metà del Trecento, e probabilmente al suo secondo venticinquennio (periodo di tempo durante il quale Ugovino ricoprì la carica di console a S. Martino). Il codice è invece più tardo: il termine a quo è individuato da Navarro Salazar in alcuni anni prima del 1364 e quello ad quem nel 1418. [14] L' onomastica ferrarese del primo Trecento e gli instrumenta fidelitatis, di Carla M. Sanfilippo, Libreriauniversitaria, 2016 [15] TLIO, Tesoro della Lingua Italiana delle Origini, diretto da Pietro Beltrami, 2012, in http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/ [16] Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Ricciardi, Milano-Napoli, 1960 [17] I sonetti di Meo dei Tolomei si trovano in Poeti giocosi del tempo di Dante, a cura di M. Marti, Milano 1956, in Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, a c. di M. Vitale, Torino 1956, 7-60 [18] I versi di Franco Sacchetti sono recuperati in Valter Boggione e Giovanni Casalegno, Dizionario storico del lessico erotico italiano, Longanesi & C., Milano 1996, p. 215. [19] Il Candelaio di Giordano Bruno in Internet http://www.filosofico.net/candelaio.htm, prima edizione Parigi 1582 [20] ANTONIO VIGNALI (Arsiccio Intronato)La cazzaria; testo critico e note a cura di Pasquale Stoppelli ; introduzione di Nino Borsellino. - Roma : Edizioni dell'Elefante, [1984]. Il testo fu pubblicato per la prima volta a Venezia intorno al 1531. [21] PIETRO ARETINO Sonetti Lussuriosi, edizione critica e commento di Danilo Romei, Banca Dati Nuovo Rinascimento 2013, online: http://www.nuovorinascimento.org/n-rinasc/testi/pdf/aretino/sonetti.pdf . Pubblicati nel 1526. [22] GIUSEPPE ANTONELLI Comunque anche Leopardi diceva le parolacce, Mondadori 2014, p.115 [23] GIUSEPPE ANTONELLI 2014, p. 119 [24] G. BELLI, Tutti i sonetti romaneschi, Newton & Compton, 2005. I sonetti di Belli sono stati scritti per lo più nella prima metà dall’Ottocento [25] BICE MORTARA GARAVELLI, Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche, Roma - Bari, Laterza 2010 [26] URSULA REUTNER, Eufemismo e lessicografia. L’esempio dello «Zingarelli», in Studi di Lessicografia italiana, vol. XXXI, 2014 [27] G. BELLI, Tutti i sonetti romaneschi, cit. in nota 24 [28] PAOLO MARTINO, cit. nota 9 [29] R. TARTAGLIONE, Tapina ahimé un caso curioso, in Filologia Italiana, anno XIV, n. 15, Ankara 1987: pp 46-54 il motivo dell’uccello nella tradizione della lirica medievale neolatina e germanica [30] Una accuratissima raccolta di eufemismi sia per l’organo sessuale maschile sia per quello femminile, con tavole comparative fra lingue diverse, in ERCOLE SCERBO, Il nome della cosa, nomi e nomignoli degli organi sessuali, Oscar Mondadori 1991 [31] L’episodio dello sdoganamento radiofonico della nota parolaccia da parte di Zavattini molto noto. È stato ricordato ultimamente da FERRUCCIO DE BORTOLI in Poteri forti (o quasi), Mondadori 2017 [32] UMBERTO ECO, citato in nota 4 [33] In MATDID, materiali didattici online di italiano per stranieri di Scudit Scuola d’Italiano Roma, a cura di Roberto Tartaglione, in http://www.scudit.net/mdcelen_reazioni.htm [34] La scena di cui parliamo è oggi in youtube https://www.youtube.com/watch?v=ksv1_0R7GvQ [35] LIDIA RAVERA, MARCO LOMBARDO RADICE, Porci con le ali, Bompiani 1976 [36] VITO TARTAMELLA, I libri e la moda dei titoli volgari, http://www.parolacce.org/2016/08/11/libri-con-parolacce-nel-titolo/ [37] GINO & MICHELE Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano, Baldini e Castoldi, 1997 che riprende nel titolo in realtà da una celebre battuta dell’umorista Marcello Marchesi [38] ALDO BUSI, Cazzi e canguri, Mondadori 2002 [39] GIANNA NANNINI, Cazzi miei, Mondadori 2016 [40] VITO TARTAMELLA, le canzoni più volgari d’Italia, http://www.parolacce.org/2011/10/19/le-canzoni-piu-volgari-ditalia/ , 2011 [41] GIUSEPPE ANTONELLI, Volgare eloquenza: come le parole hanno paralizzato la politica, Laterza, Tempi Nuovi, 2017 [42] Intervista a Tullio De Mauro in http://www.quotidiano.net/cultura/de-mauro-parolacce-1.2796138 pubblicato il 5 gennaio 2017
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