SCUDIT, SCUOLA D'ITALIANO ROMA, PRESENTA MATDID,
MATERIALI DIDATTICI DI ITALIANO PER STRANIERI
A CURA DI ROBERTO TARTAGLIONE E GIULIA GRASSI

 

Materiale: n. 318  -  Data: 01.01.2019  - Livello: C
autore:
Roberto Tartaglione 

LA PAROLACCIA N.1
IN ITALIANO
Secondo Calvino ha un’espressività impareggiabile. Ed è un jolly linguistico; secondo Umberto Eco quando una lingua si libera di alcuni tabù si raggiunge uno stato di nuova innocenza

 

 

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PREMESSA
INTRODUZIONE
QUESTIONI GENERALI SULL’INSULTO E SULLA PAROLACCIA
QUESTIONI DI ETIMOLOGIA
PRIME ATTESTAZIONI

USI

- imprecazione
- valore di sì/no
- valore di niente
- valore di cosa
- valore aggettivale
- valore modale
- rafforzativo dopo particelle interrogative
- locuzioni nominali
- locuzioni e derivati verbali
- derivati nominali e aggettivali
- gli eufemismi


ATTESTAZIONI POST ’68

- radio
- televisione
- cinema
- libri
- canzoni
- politica e linguaggio giornalistico


 

PREMESSA

Quando si studia una lingua straniera viene spesso la tentazione di mostrarsi perfettamente immersi nella cultura di cui quella lingua è espressione. Fino qualche volta a rischiare di diventare più realisti del re.
Fra gli stranieri che studiano l’italiano, per esempio ho notato che qualcuno, per comportarsi “all’italiana”, passa con il semaforo rosso (tanto in Italia è permesso, no?) senza rendersi ben conto che la possibilità di essere falciati da una Fiat Panda ingenuamente convinta di poter passare col verde è piuttosto alta. Qualcuno poi l’ho sentito cantare a squarciagola su una bella terrazza romana in una romantica notte d’estate perché in fondo non è questo il paese del bel canto? Ed è stata la polizia chiamata dai vicini a spiegargli che le cose non stanno esattamente così. Ho visto perfino piangere una studentessa straniera pizzicata in autobus senza biglietto e costretta a pagare la multa: non piangeva per la multa, ma per l’ingiustizia subita! Perché hanno fatto la multa proprio a me se nessuno in Italia fa il biglietto? Non sarà razzismo?
Ma uno dei modi più importanti per sentirsi “integrati” e quello di parlare come i nativi. E si sa: gli italiani usano spesso l’interiezione “cazzo”.
Essendo nativo non mi scandalizzo più di tanto quando sento questa parola e confesso di essere io stesso fra quelli che in determinati contesti non disdegnano di usarla.
Tuttavia devo anche dire di essere rimasto più volte imbarazzato quando ho sentito graziose studentesse nordeuropee dagli occhi azzurri e bionde come Cherubini pronunciarla fuori contesto e con una pronuncia tale da far arrossire un camionista della camorra addetto smaltimento clandestino di rifiuti urbani.
Perché si sa, per le parolacce c’è un codice di comportamento non scritto che i madrelingua comunque padroneggiano e che gli stranieri possono acquisire solo con una lunga permanenza in Italia.
Il discorso del resto non vale solo nel rapporto italiani-stranieri ma anche nel rapporto fra italiani di regioni diverse: una bestemmia pronunciata da un alpino di Belluno (con un grazioso accento veneto o friulano) suona ben diversa dalla stessa bestemmia pronunciata da un ministeriale romano (con un meno grazioso accento borgataro).
Così è nata l’idea di approfondire un po’ i meccanismi linguistici che regolano l’uso del termine cazzo: non per invogliarne all’uso che anzi, se ne avessimo l’autorità, sconsiglieremmo vivamente a chiunque abbia soggiornato in Italia per meno di 10 anni. Ma solo per illustrarne la molteplicità degli aspetti, la varietà di contesti d’uso, la ricchezza di derivati e in sostanza la sua complessità semantica e grammaticale. Complessità che non essendo inferiore a quella del periodo ipotetico del terzo tipo o dell’uso del “non pleonastico” dopo un finché, dovrebbe suggerire agli studenti stranieri di accontentarsi in fase di apprendimento della lingua di una conoscenza passiva, rimandando le occasioni di uso attivo a tempi in cui sui loro certificati di competenza linguistica comparirà la scritta C1 o C2.

Roberto Tartaglione

 

INTRODUZIONE

Non siamo certo i primi a notare che la frequenza d’uso del termine cazzo in italiano parlato sia incredibilmente alta: se è vero come è vero che le prime 1000 parole più utilizzate nella nostra lingua occupano oltre l’85% del nostro lessico quotidiano, non può lasciare indifferenti il fatto che questa, che in teoria dovrebbe costituire un tabù linguistico, occupi nel dizionario di frequenza d’uso dell’italiano parlato (noto come LIP)1, il ruolo numero 722, una posizione per intenderci più gratificante di quella di sostantivi come viaggio (781) e saluto (982). E se pensiamo che nella patria di Michelangelo il termine affresco sta al numero 5914, questo può far riflettere.
Inoltre, considerando che il LIP è del 1993 e che da allora il linguaggio comune non sembra aver preso una direzione più speditamente lanciata verso qualche forma di particolare raffinatezza o eleganza metaforica, c’è da ritenere che, in una più aggiornata elaborazione di dati. il termine in questione possa occupare un ruolo perfino più rilevante2.

Del resto, googlando senza impegno e confrontando la quantità di risultati del nostro termine in rapporto a quella di sostantivi che definiscono altre parti del corpo, non sorprendentemente scopriremo una frequenza sua d’uso assai maggiore rispetto a quella di termini che indicano altre parti del corpo umano non meno importanti (come braccio o naso).
Paragonandolo invece con le occorrenze di altre diffusissime “parolacce” italiane troviamo (dicembre 2018):

stronzo – 4.550. 000
vaffanculo – 4.150.000
fanculo – 3.690.000
coglioni – 2.930.000
cazzo – 50.100.000


Al di là di più moralistiche considerazioni, non si può comunque non convenire con Italo Calvino quando riflette sul fatto che il termine cazzo ha un’espressività impareggiabile. Ed è un jolly linguistico3.
Del resto se è vero che anche in qualche altra lingua, come in quelle slave ad esempio, si possono pure trovare termini del turpiloquio altrettanto flessibili nelle loro potenzialità espressive e ricchi di fantasiosi costrutti (che peraltro vedremo dettagliatamente in seguito), raramente nelle lingue straniere il termine è sostanzialmente, se non accettato, così tollerato come nel parlato quotidiano italiano dove è ormai consentito perfino in numerosissime situazioni pubbliche in cui un tempo sarebbe stato, ed è stato, pesantemente censurato.

In realtà la questione più immediata che sembra sorgere come conseguenza dell’uso così frequente e normalizzato del termine non ci pare riguardi tanto aspetti di volgarità o di raffinatezza, ma piuttosto un dettaglio osservato già molti anni fa da un particolarmente brillante Umberto Eco:

«Quando una lingua si libera di alcuni tabù si raggiunge uno stato di nuova innocenza. Ormai da tempo non solo i ragazzi ma anche buona parte dei loro genitori credono davvero che “casino” voglia dire soltanto “rumore” o “disordine”, e anche persone di rango dicono “fichissimo” di un bel ragazzo, avendo completamente dimenticato che il termine mascolinizza un pesante apprezzamento una volta usato per il sesso opposto. C’è quindi la possibilità che la prossima generazione ritenga in buona fede che “cazzo!” voglia dire soltanto “perbacco!” e che “cazzeggio” sia un sinonimo di “chiacchiericcio” già raccomandato dal Tommaseo.
Quello che però suscita la mia più profonda preoccupazione è come si farà allora a nominare il membro virile, in quelle auspicabili occasioni in cui la gente, abbandonando per un momento la navigazione su Internet, cercherà di avere rapporti fisici con qualche essere di sesso simile o opposto. Non rischieremo che, per eccesso di ottundimento della libertà lessicale, alcuni organi fondamentali non possano più essere designati in modo letterale, in modo che il partner capisca quel che intendiamo dire, e ne consegua l’impossibilità di sollecitare quella mutua offerta di incavi ed escrescenze che è così necessaria per implementare (come si dirà allora) l’amplesso?
»
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QUESTIONI GENERALI SULL’INSULTO E SULLA PAROLACCIA

Classificare il termine cazzo all’interno della grande famiglia linguistica che va sotto il nome di “parolacce” è indubbiamente giusto: questa parola infatti fa parte di quel grosso gruppo di elementi lessicali o di locuzioni che nei dizionari sono marcati di solito dalla sigla volg. che ne sottolinea appunto la volgarità.

Tuttavia, prima di osservare con più attenzione le possibilità di uso del termine all’interno della frase, vale forse la pena sottolinearne qualche aspetto più generale.

Parlando di parolacce infatti si è soliti pensare soprattutto a quelle che servono per offendere qualcuno, alle parole o alle locuzioni che, per dirla con De Mauro5, servono per ferire.
Queste parole sono state studiate e suddivise in ambiti di riferimento in relazione alla propria diffusione.

Molte di loro si riferiscono a caratteristiche etniche o di provenienza geografica.
Si badi bene che nel paese dei “mille comuni” e lontano da principi di pollitically correct anglosassoni, spesso questo lessico ha talora un valore ironico e perfino affettuoso. Ma la componente razzista e aggressiva può anche essere molto marcata. Parliamo di parole come zingaro, terrone, genovese, ebreo, marocchino, brasiliana, crucco, beduino ecc.

Un grande numero di questi termini allude poi a professioni o mestieri, non certo offensivi in sé, ma visti in un loro aspetto deteriore. È il caso di accademico, gesuita, pecoraio, portinaia, intellettuale, shampista ecc.

Molte parole, per ferire, tendono a sottolineare disabilità fisiche o mentali: è il caso di gobbo, cecato, nano, handicappato, zoppo, oppure di analfabeta, bestia, cerebroleso, cretino, imbecille ecc.

In altri casi si sottolineano invece difetti morali (buffone, bugiardo, squallido, voltagabbana ecc.) o una condizione di inferiorità socio-economica (poveraccio, miserabile, pezzente, morto di fame ecc.)

L’insulto si ottiene ricorrendo spesso a riferimenti ortofrutticoli (broccolo, crauto, finocchio, peracotta, rapa, zuccone ecc) o ancora più spesso a riferimenti animali (animale, bestia, asino, bue, vacca, cagna, caimano, squalo, capra, pecorone, pidocchio, coniglio, gufo, lucciola, pescecane, pidocchio, oca, gallina, gufo, rospo, sciacallo, verme, vipera ecc.)

Le ingiurie naturalmente possono anche avere un richiamo alla sfera sessuale: tuttavia in questo caso non è certo il termine cazzo a farla da padrone. Infatti molte ingiurie se rivolte a donne alludono alla prostituzione o comunque a una certa disinvoltura sessuale (puttana, troia, mignotta, vacca, cagna ecc.) oppure se rivolte a uomini alludono alla scarsa virilità o all’omosessualità (frocio, finocchio, culo, checca ecc.)

Termini anatomico-sessuali utilizzati direttamente come insulto non sono moltissimi (fra questi forse il più diffuso è coglione!) e si ricorre piuttosto a richiami escrementizi (merda, stronzo), ma certo non direttamente a cazzo che in sé e per sé non viene utilizzato “come parola per ferire”. Certamente in alcuni derivati o locuzioni la parola ha parecchie volte un riferimento alla stupidità (cazzone come stupidone, cazzata come stupidaggine), ma in gran parte dei casi il valore negativo non esiste (incazzarsi, cazzeggiare, essere scazzato) e talvolta ha addirittura senso positivo (cazzuto).

Insomma: questa parola va certamente considerata come volgare ed è certamente una “parolaccia”, ma dal punto di vista del significato non è usata tanto come insulto ma come interiezione, come marcatore di stati d’animo del parlante molto forti: dall’essere fortemente indispettito (che cazzo vuoi? E che cazzo!), all’essere fortemente contrario a qualcosa (col cazzo!), dall’essere ammirato di qualcosa (che magari definiamo coi controcazzi) all’essere abulico o disinteressato (non me ne frega un cazzo!).
In tutti questi casi, e in moltissimi altri, l’idea di offesa o di insulto è completamente assente, mentre quello che si vuole sottolineare è sempre l’atteggiamento del parlante.

QUESTIONI DI ETIMOLOGIA

Assolutamente incerte sono le origini etimologiche che si sono finora ipotizzate.
Si va dal latino cattia (mestolo)
6 che è però sembrato poco probabile non foss’altro che per il fatto di alludere non al manico (che pure avrebbe un senso), ma propriamente alla parte concava dell’attrezzo, quella utilizzata per contenere i liquidi; fino alla forma maschile di oca, alterata con suffisso –azzo (oca- ocazzo): ipotesi suggestiva7 e credibile per il fatto che il genere del nome può effettivamente essere variato attraverso un suffisso alterativo (come capra/caprone; re/regina; Nicola/Nicoletta ecc.), ma tuttavia ipotesi senza attestazioni cronologicamente attendibili.

Altri hanno supposto una relazione col greco akation/akatos8, proprio del linguaggio marinaresco per indicare l’albero maestro della nave: e del resto sempre dal linguaggio marinaresco si potrebbe supporre qualche relazione col verbo “cazzare” (capitiare) che significa tirare/spingere la fune per manovrare le vele.
Non insensato sarebbe perfino immaginare un nesso con captio/captiosus, dal verbo latino capere (la cui forma intensiva captare è ben presente anche in italiano moderno): captiosus è infatti chi ottiene qualcosa con l’inganno (captio) e in questo caso potremmo ipotizzare un senso metaforico-giocoso riferito all’organo sessuale maschile che ottiene quello che vuole attraverso la furbizia o l’inganno. Ma anche questo senza alcuna prova provata.
Il senso del sostantivo potrebbe certo anche lasciar supporre una possibile connessione con le parole caratterizzate dalla forma in cap- , (come capezzolo < capitium latino
9) che indicano un qualcosa che emerge, che sta sopra (= piccolo capo, cappella). E così come vitium ha avuto esito vizio e vezzo, così capitium potrebbe aver avuto sia l’esito capezzo(lo) sia l’esito cazzo. Meno probabile una diretta derivazione da capo attraverso l’alterazione in uccio/uzzo: caput – capuccio – capuzzo – cazzo.

Legittimo è poi sostenere che cazzo sia una variante di cappio, da capulum
10, voce del gergo militare considerata oscena già in latino, che significava manico della spada, impugnatura.

Ipotesi suggestiva è ancora quella che si rifà invece al latino catulus11.
Catulus è diminutivo di catus, gatto. L’idea che si sia voluto chiamare il proprio organo sessuale attraverso a un riferimento a un cucciolo animale non sorprenderebbe più di tanto, ma le leggi fonetiche non ci supportano nel giustificare un passaggio da catulus a cazzo. Come vetulus diventa vecchio, infatti, catulus potrebbe diventare cacchio (che bizzarramente è poi uno dei sostantivi con cui si indica la stessa cosa). Tuttavia il passaggio da cacchio a cazzo resterebbe inspiegabile.
È stata così formulata l’ipotesi che catus/catulus sia stato “reimportato” in italiano attraverso il germanico Katze, magari attraverso soldataglie che per secoli hanno attraversato l’Italia.
Ipotesi suggestiva, dicevamo, ma senza nessuna prova documentabile.
La radice più probabile a nostro avviso dovrebbe comunque risiedere nel verbo latino capitiare
12 che significa spingere, cacciare, cacciare dentro (lo stesso che abbiamo citato a proposito di linguaggio marinaresco nel quale viene usato per espressioni come cazzare le vele, ma che ancora oggi si usa nel senso di infilare per espressioni come cacciare un dito nell’occhio).
L’esito in –zz- del nesso -pti- in capitiare del resto è spiegabile e documentato in forme come nuptiale/nuziale/nozze. Quindi da captiare avremmo il doppio esito cacciare/cazzare.
Il significato del termine che stiamo analizzando sarebbe in questo caso tutt’altro che metaforico, ma esplicitamente (e volgarmente) descrittivo della sua funzione sessuale.

PRIME ATTESTAZIONI

Il Glossario Latino-Eugubino della prima metà del Trecento13, ci conferma che la traduzione del latino “mentula” (in siciliano > minchia) corrisponde a quello che in Umbria si chiama “cazzo”. Mentula id est lo caçço : a quel tempo dunque il significato volgar-sessuale del termine nell’Italia centrale appare ben definito.
Non mancano tuttavia attestazioni precedenti, in particolare nei soprannomi: Cazoinfango a Siena nella metà del XII secolo, Cazo Nero ad Arezzo nel 1211, Medium Cazum ad Arco (Trento) nel 1266 e Arufalcaço a Bologna 1257
14. Un tal Neri Caççuto è presente poi in un documento fiorentino che risale all’incirca al 129015.
Se in tutti questi composti antroponimici però la forma cazzo sia di tutt’altra derivazione, si riferisca all’organo sessuale o a un qualche gioco di parole con mestolo (cattia, una delle origini etimologiche ipotizzate per cazzo) è cosa da vedersi.
Allo stesso modo non si può affermare con assoluta certezza che nei versi di un sonetto di Rustico da Filippi dedicato a Fastello dei Tosinghi, podestà guelfo di San Gimignano nel 1259, il termine femminile (o neutro plurale?) cazza sia esattamente riferito a quello che pure sospettiamo.

Fastel, messer fastidio de la cazza,
dibassa i ghebellini a dismisura,
e tutto il giorno aringa in su la piazza
e dice ch'e' gli tiene 'n aventura16.

Insomma, per andare sul sicuro, ci pare più logico accettare che la prima attestazione scritta del termine cazzo nel significato che anche modernamente gli diamo, sia in un sonetto di Meo dei Tolomei, poeta della corrente giocoso-realistica della fine del XIII secolo, confuso spesso col coevo Cecco Angiolieri, con cui condivide stile e temperamento poetico incline al vituperio17

Ché s’ tu temessi vergogna nïente,
tu anderesti con gli occhi chinati
e non appariresti mai tra gente.
Tu porti ’l gonfalon degli sciaurati,
figliuol di quella c’ ha ’l cul sì rodente,
che tutti i cazzi del mondo ha stancati.

Da Meo dei Tolomei in poi il termine troverà sempre più spazio, certo nel linguaggio quotidiano, ma anche nella letteratura giocosa e burlesca. E ancora nel Trecento, nelle rime di Franco Sacchetti troveremo (CXXIIb, 9):

Ch’io ho il cazzo mio, ch’è tanto vano
che dorme su’ coglioni, e non si desta
ed è cinq’anni o più che non fu sano»
18

Dal Cinquecento in poi le attestazioni d’uso di questo termine si moltiplicano a dismisura: nel Candelaio di Giordano Bruno19 compare fra l’altro col valore di interiezione, proprio così come la si userebbe ai giorni nostri, nelle frasi:
- Cazzo, dissi intra me. Costei ne vuole!
- Cazzo, che buon latrone è costui!

Sempre nel Cinquecento era stata pubblicata La Cazzaria, opera di Antonio Vignali20, Accademico degli Intronati. Si tratta di un piccolo capolavoro osceno che prendendo spunto dal topos letterario del ritrovamento di un manoscritto in cui si tratta “delle ragioni e delle circostanze del fottere”, si sviluppa in un dialogo sodomitico-godereccio in cui non si manca di fare riferimenti alle vicende politiche della Siena di allora.

Dello stesso periodo I Sonetti lussuriosi di Pietro Aretino21, ispirati alle incisioni erotiche di Marcantonio Raimondi. Il linguaggio dei sonetti è, manco a dirlo, piuttosto esplicito:

Questo cazzo vogl'io, non un tesoro!
Questo è colui, che mi può far felice!
Questo è proprio un cazzo da Imperatrice!
Questa gemma val più ch'un pozzo d'oro

E più tardi, fra gli insospettabili, troveremo Antonio Canova (“Oh cazzo cazzo! Osaste mai credere ch’io mi fossi montata la testa per il Cavalierato22?”) o Giacomo Leopardi (“La vera letteratura di qualunque genere sia non vale un cazzo con gli stranieri23”)

Insomma, sia pure in un continuo dilagare dell’uso di questo termine, la parola resta comunque per secoli confinata al gergo volutamente volgare e quindi propria della comunicazione familiare, di quella dialettale, regolarmente all’interno di un pubblico maschile, o propria della letteratura “lussuriosa”, giocosa o erotica.
Solo nel Novecento, e più precisamente dal periodo postsessantottino, la “rivoluzione culturale” sdoganerà il termine in ambiti più ampi.

USI

Imprecazione / interiezione

Cazzo! – Questa è l’esclamazione volgare numero 1 in italiano, attestata in questo suo ruolo, come abbiamo visto, almeno fin dal Cinquecento. Sottolinea di solito qualsiasi forma di emozione, da quella più spiacevole (una brutta sorpresa) fino a quella più piacevole (una bella sorpresa). In questo senso la stessa imprecazione funziona per situazioni diametralmente opposte: davanti a un pessimo piatto di lasagne è possibile sentir dire cazzo, che cattive! e davanti a un ottimo piatto di lasagne è possibile sentir dire cazzo, che buone!
Il 13 gennaio del 2012 al largo dell’Isola del Giglio, quando la nave da crociera Costa Concordia sta per affondare, il comandante non si mostra all’altezza della situazione e sembra voler abbandonare l’imbarcazione prima dei passeggeri. Il Capitano De Falco, che coordina i soccorsi da terra, prende in mano le redini della situazione e, in una famosa e concitata telefonata gli intima: salga a bordo, cazzo!
La frase (in cui l’interiezione assume un ruolo particolare anche per il fatto di essere inserita in un contesto di formalità sottolineato dalla forma verbale “salga”, con il lei e non con il tu) diventa tanto famosa da trasformarsi in vero “modo di dire”, citato in mille situazioni e riportato perfino in scritte sopra le magliette.

L’esclamazione può essere colorita, o anche caratterizzata a seconda delle situazioni, attraverso alcuni rafforzativi. In particolare:

Ma cazzo! – Esprime principalmente contrarietà e disappunto. Corrisponde in qualche modo a un ma no!, ma non è possibile!; è frequente in situazioni colloquiali in cui si voglia mostrare solidarietà e partecipazione all’interlocutore o comunque esprimere disappunto e rammarico per un inconveniente. Qualcuno ci dice per esempio che nonostante i suoi sforzi è stato bocciato a un esame: noi reagiamo con un ma cazzo, mi dispiace; ma cazzo, non è giusto; ma cazzo, non me l’aspettavo. L’effetto principale è quello di mostrare la propria delusione per un evento sostanzialmente inatteso e certamente non sperato.

Oh cazzo! - Sottolineare una grande sorpresa ma anche una certa impreparazione a affrontare una situazione inaspettata. Con parole meno volgari l’esclamazione potrebbe essere corrispondere a un oh, che sorpresa, oh perbacco, e adesso? Per esempio: è finita la benzina e la macchina si è fermata improvvisamente: oh cazzo, e dove lo trovo un benzinaio adesso?

Che cazzo / E che cazzo! (anche nella forma eccheccazzo!) - rispetto alle esclamazioni precedenti manifesta una sorta di intolleranza, di reazione dura e infastidita da parte del parlante che sembra battere il pugno sul tavolo per reagire con decisione davanti a un evento: eccheccazzo, adesso basta! eccheccazzo, stavolta non ho intenzione di restare zitto e buono!

In sintesi, davanti allo stesso evento (immaginiamo l’arrivo inaspettato di Antonio a casa) abbiamo almeno queste possibilità:

- Cazzo, che bello, stasera viene a cena Antonio!
- Cazzo, ma proprio non ha altro da fare Antonio che venire a casa mia?
- Ma cazzo, se me lo diceva prima compravo qualcosa di buono da mangiare!
- Oh cazzo, proprio stasera che ho invitato a casa la sua ex moglie! E ora che gli dico?
- Eccheccazzo, casa mia mica è un albergo! Questo viene quando vuole ma stavolta glielo dico!

Valore di sì / no

La stessa imprecazione, usata in modo assoluto e con enfasi (richiede infatti un’intonazione particolare, simile a quella che usiamo nelle interrogative) corrisponde a un come no?, , naturalmente! eccome! cioè a un’affermazione molto sentita.
Alla domanda ti sei divertito in vacanza? è possibile così rispondere cazzo! (ribadiamo: importante l’intonazione simile a quella interrogativa), per dire
eccome, più di quanto si possa immaginare!

Per significare no abbiamo invece due varianti: un cazzo!, che significa un al contrario! Per manifestare un esito diverso da quello previsto. Quindi ancora alla domanda ti sei divertito in vacanza è possibile rispondere un cazzo! (no, per niente, chi se l’aspettava? Ha piovuto sempre!). In questo caso si può rafforzare proprio con un , che la forma un cazzo contraddice immediatamente:
Hai trovato lavoro? Sì, un cazzo!; passata l’influenza? Sì, un cazzo (tutto il contrario, proprio no, neanche per idea, magari!).
Un altro modo per esprimere questo valore negativo è la costruzione esclamativa nome + un cazzo.
- Vuoi un caffè? Caffè un cazzo, a quest’ora ci vuole un aperitivo!
- Strasburgo è una bella metropoli? Metropoli un cazzo, è un paesino!

Col cazzo! - Ha valore di no, ma stavolta provocatorio verso il nostro interlocutore.
Questo no infatti sottintende che la frase che neghiamo sia assolutamente inaccettabile, contro i miei interessi o le mie più radicate convinzioni. Vuol dire insomma fossi matto! credi sia così stupido e autolesionista? No, non mi conviene! Ho imparato la lezione e non ci casco più!
- Andiamo di nuovo in quel ristorante? Col cazzo! (no, l’altra volta abbiamo mangiato malissimo!)
- Fai un regalo a Antonio per il suo compleanno? Col cazzo, quando è stato il mio compleanno lui non mi ha fatto nemmeno una telefonata!
Oltre che in modo assoluto questa espressione può introdurre un’intera frase nella forma:
col cazzo che… - Col cazzo che torno in quel ristorante! Col cazzo che faccio un regalo ad Antonio!
Come la forma un cazzo, anche le forme col cazzo e la forma col cazzo che, possono essere rafforzate da un (che appunto viene negato): Mi presti 100 Euro? Sì, col cazzo! Sì, col cazzo che te li presto!

Manco per il cazzo!
Ha la stessa forza negativa di col cazzo, ma in questo caso non si sottolinea l’inaccettabilità della domanda che va contro i propri interessi, ma solo l’irreversibilità della risposta negativa, un no pieno e senza tentennamenti. Corrisponde a
neanche per niente! nemmeno per sogno!

In sintesi, alla domanda andiamo al cinema a vedere quel film? Possiamo rispondere:

- Cazzo! (sì, volentieri!, enfasi quasi interrogativa)
- Un cazzo / cinema un cazzo! (no, purtroppo devo lavorare io!)
- Col cazzo (ma hai letto le recensioni che dicono quanto è brutto quel film?)
- Col cazzo che ci vado (come sopra)
- Manco per il cazzo (nemmeno per sogno!)

Valore di “niente”

Un cazzo sostituisce in un numero grandissimo di frasi l’indefinito niente, anzi quello che spesso in un linguaggio meno triviale sarebbe “un bel niente”.
In particolare si trova in frasi negative come non so un cazzo, non capisce un cazzo, non si vede un cazzo, non abbiamo comprato un cazzo ecc.

Allo stesso modo sostituisce niente in tutte le forme del tipo niente + da + infinito verbale.
In particolare: non ho un cazzo da dire, non c’è un cazzo da fare, non abbiamo un cazzo da mangiare.
Il valore di niente è del resto presente nel già citato manco per il cazzo (neanche per niente).
Nel film “Il Marchese del Grillo” (di Mario Monicelli 1981), Alberto Sordi/Marchese del Grillo, viene arrestato insieme a un gruppo di popolani. Appena riconosciuto come marchese però viene immediatamente rilasciato, mentre i suoi compagni sono trascinati in galera. Salutandoli allora gli dice:
- Mi dispiace, ma io sò io e voi non siete un cazzo!
La frase, diventata celeberrima e assai citata per denunciare l’arroganza del potere, è in realtà ripresa da un sonetto romanesco di Giuseppe Gioacchino Belli, “li soprani del monno vecchio”:

C’era una vorta un re cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st’editto:
Io sò io e vvoi nun zete un cazzo
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Valore di “cosa”

In alcuni casi diventa sinonimo di cosa, faccenda, affare, situazione. In particolare
cazzi miei/tuoi/suoi/nostri/vostri/loro si riferisce a questioni personali caratterizzate da un forte senso di privacy (fatti i cazzi tuoi, questi sono cazzi miei).
Leggermente diverso il senso di ora sono cazzi tuoi!, per via della connotazione un po’ minacciosa che significa: devi cavartela da solo, sono fatti tuoi.
Non rara anche l’espressione me ne sto per i cazzi miei, per i fatti miei, da solo.
Le faccende personali possono anche essere complicate o difficili. In questo caso si parla di cazzi amari o cazzi acidi. Se sono situazioni terribilmente complicate da sbrogliare, dando ancora una piccola spinta al nostro registro linguistico volgare, possiamo parlare di cazzi da cacare/cagare (c intervocalica nel centro-sud, g intervocalica nel nord).
Perfettamente sinonimico al termine cosa, l’espressione tra una cosa e l’altra diventa tra un cazzo e l’altro.
Più in generale tutto quello che ci affligge, ovvero le cose fastidiose, le preoccupazioni, i pensieri diventano cazzi o certi cazzi: questo periodo ho certi cazzi, ho troppi cazzi per la mente.
Frequente nell’espressione Eh, quanti cazzi!, che si rivolge a chi eccede nel fare richieste.


Valore aggettivale

Del cazzo - La formula del cazzo, postposta a un qualsiasi sostantivo, ne sottolinea la bassa qualità, la poca credibilità, connotandolo come non accettabile o non conveniente.
- Mi ha fatto una proposta del cazzo (inaccettabile)
- Ho perso la causa perché avevo un avvocato del cazzo (incapace)
- Credevo di guadagnare qualcosa con quel business e invece ho fatto un affare del cazzo (non conveniente)
- Oste del cazzo portaci da bere (dalla canzone romana “la società dei magnaccioni”: oste per modo di dire, poco credibile)

Cazzo di - La formula cazzo di, che invece è preposta a un sostantivo, corrisponde per lo più a (un certo) tipo di, qualsiasi, qualsivoglia, qualunque, con la connotazione negativa di insignificante, senza caratteristiche accettabili particolari.
- Ci sarà pure un bar in questa cazzo di città, no?
- Che cazzo di giornata!
- Quel cazzo di vigile mi ha fatto una multa
- Prendi un cazzo di autobus e vieni subito qui!

Valore modale

A cazzo esprime una modalità caratterizzata da scarsa coerenza, nessuna programmazione, mancanza di obiettivi. In particolare.
- Ha fatto un discorso a cazzo (senza senso, incomprensibile)
- Sono andato in giro in città a cazzo (senza meta, senza un programma)
- È un libro scritto a cazzo (senza la preparazione necessaria, fatto male)
A cazzo di cane - Ha lo stesso senso ma ulteriormente rafforzato dalla parentela canina:
- Questa traduzione è fatta proprio a cazzo di cane (malissimo)

Coi controcazzi (o anche coi cazzi e i controcazzi, su modello di “coi fiocchi e i controfiocchi”) - Potrebbe equivalere a assolutamente ben fatto:
- Ho comprato un computer coi controcazzi!
- Ha fatto un discorso coi (cazzi e i) controcazzi!

Rafforzativo dopo particelle interrogative

Dopo le particelle interrogative chi, cosa, come, dove, quando, quanto e perché serve a rafforzare la domanda. Se le particelle sono già rafforzate da un ma, questo non ne impedisce comunque l’utilizzo:
- Chi cazzo credi di essere?
- Cosa cazzo guardi?
- Ma come cazzo ragioni?
- Dove cazzo vai?
- Quanto cazzo ti devo aspettare?
- Ma perché cazzo ti comporti così?
La funzione di rafforzativo vale anche nelle interrogative indirette (qui però è proibito il ma): gli ho chiesto perché cazzo si comportasse così, non capivo cosa cazzo guardasse ecc.
Se la domanda non è introdotta da una particella interrogativa o se è introdotta dal colloquiale che, indicatore di interrogazione, questa forma di rafforzativo non può essere assolutamente utilizzata (sei stanco? che hai una sigaretta?)

Nelle regioni del nord, le frasi interrogative introdotte da che/cosa/che cosa + cazzo possono perdere proprio la particella interrogativa che/cosa/che cosa:

Che cazzo guardi? = cazzo guardi?
Cosa cazzo rispondi? = cazzo rispondi?
Che cosa fai? = cazzo fai?

 

Locuzioni

Alla faccia del cazzo!
– espressione che manifesta immensa sorpresa, corrispondente a un pure!, addirittura!, utilizzabile sia per situazioni positive che negative.
- Lui guadagna ventimila Euro al mese. Alla faccia del cazzo!

Faccia da/di cazzo – si dice a chi dopo aver fatto qualcosa di sbagliato o comunque qualcosa di cui vergognarsi, mostra un’espressione impertinente o strafottente, tutt’altro che pentita. È, se si vuole, un’estremizzazione di faccia da schiaffi: come questa sottintende l’impulso di malmenarne il portatore.

Grazie al cazzo
– si dice reagendo a un’affermazione ovvia e scontata, fatta magari da chi crede in questo modo di dare una lezione di vita. Spesso si rafforza introducendolo con una e.
-
Per sentirti meglio dovresti cambiare stile di vita, lavorare meno, fare più sport e possibilmente passare tutta l’estate al mare.
- E grazie al cazzo!


Sto cazzo!
– (romanesco) Corrisponde in parte all’espressione col cazzo e significa un no piuttosto violento, quasi risentito per una richiesta ricevuta. Si rafforza spesso introducendolo con un che viene subito negato. Per esempio, abbiamo aiutato una persona più volte e non ci ha mai ringraziato: torna a chiederci aiuto dicendo - Puoi aiutarmi domani a fare un trasloco? Sì, sto cazzo!

Sti cazzi - manifesta il massimo del disinteresse, assai più forte del chi se ne frega. Spesso si rafforza introducendolo con una e:
- Il capo del governo ha divorziato? E sti cazzi?

Testa di cazzo – offesa che si rivolge a chi riteniamo abbia sbagliato, a chi secondo noi ha commesso un errore, sia di piccola che di grande entità. Corrisponde più o meno a stupido, idiota e l’intonazione usata nel pronunciarla ne sottolinea l’intensità, da quella leggera e benevola quando la dirigiamo verso noi stessi (che testa di cazzo sono stato a non pensarci prima!), a quella più violenta e aggressiva quando la rivolgiamo contro chi ci ha fatto qualcosa (sei un grandissimo testa di cazzo!)

Locuzioni e derivati verbali

Attaccarsi al cazzo
–quello che si spera non accadrà: non avremo altre possibilità. Con un esempio: vuoi che io venga a prenderti a casa domani mattina alle cinque? Attaccati al cazzo!; dopo quello che mi hai fatto vorresti che io ti prestassi la mia macchina? Ti attacchi al cazzo stavolta!

Avere certi cazzi (per la testa) – Avere problemi da risolvere, essere nei guai: scusa se non ti ho telefonato ma questo periodo ho certi cazzi…

Cacare il cazzodisturbare pesantemente: mi telefona tutti i giorni; deve smetterla di cacarmi il cazzo!

Cazzeggiarepassare il tempo con qualcuno dicendo cose divertenti o frivole: ieri sera siamo stati in un pub con gli amici e abbiamo cazzeggiato un po’

Cazziare – rimproverare duramente: per quello che ho detto sono stato cazziato pesantemente.

Essere scazzato – annoiato, abulico, indifferente

Fare schifo al cazzofare schifo, essere disgustoso: quella minestra etnica che ci hanno offerto ieri sera faceva schifo al cazzo.

Farsi i cazzi propri/altrui – si dice che l’undicesimo comandamento sia “fatti i cazzi tuoi”

Incazzarsi – sinonimo di arrabbiarsi. Altissima la sua frequenza d’uso. Se continui a dire così mi fai incazzare, sai?

Levarsi / togliersi dal cazzoversione poco elegante di levarsi dai piedi, allontanarsi: ancora qui sei? Levati dal cazzo, non ti sopporto più!

Non me ne frega / fotte un cazzo – Non mi interessa per niente: vuole chiedermi scusa? Non me ne frega un cazzo, non ho intenzione di perdonarlo.

Rompere (scassare, frantumare ecc.) il cazzodisturbare (rispetto a cacare il cazzo è meno violento e talvolta anche scherzoso): paghi sempre tu il caffè! La smetti di rompere il cazzo con la tua gentilezza e lasci pagare anche me?

Sbattersene il cazzo – disinteressarsi vistosamente (rispetto a non me ne frega un cazzo è più pesante e volgare): me ne sbatto il cazzo delle tue ragioni! Adesso proprio non ne posso più di starti a sentire!

Scazzarsi - scazzarsi con qualcuno vuol dire litigare con qualcuno su un determinato argomento: io e Antonio siamo molto amici, ma quando parliamo di politica ci scazziamo sempre. Ma scazzarsi, in assoluto, può anche avere il senso contrario a quello di incazzarsi: se ti incazzi fai due fatiche: prima per incazzarti e poi per scazzarti.

Sentirsi stocazzo – avere un atteggiamento di superiorità, comportarsi come persona superiore agli altri: solo perché ha fatto un po’ di soldi adesso si sente stocazzo!

Stare sul cazzo – essere molto antipatico, insopportabile: Antonio è simpatico, ma sua moglie mi sta un po’ sul cazzo.

Derivati nominali e aggettivali

Cacacazzi – si dice di chi caca il cazzo, cioè disturba pesantemente: in ufficio nessuno lo sopporta perché è un gran cacazzi

Cazzabbubbolo – stupidone, persona sciocca e presuntuosa

Cazzaro – persona che dice cazzate: può essere sinonimo di simpatico (è un gran cazzaro e quando racconta le sue storie mi fa morire dal ridere) o avere il senso negativo di chi dice cose false per sembrare più importante di quello che è, millantatore (non stare a credere a quello che racconta: è solo un cazzaro!)

Cazzata – sciocchezza, stupidaggine. A volte è sinonimo di cosa frivola e divertente (è simpatico perché spara un sacco di cazzate), a volte ha valore negativo (quel film è una gran cazzata).

Cazzeggiol’atto del cazzeggiare, di passare il tempo in compagnia allegramente sparando divertenti cazzate: ogni tanto un po’ di cazzeggio con gli amici rende la vita più serena.

Cazzerellone – tipo sempre disponibile a fare scherzi e a giocare, uno giocherellone. Può avere un valore di leggera simpatia o anche marcare l’aspetto di stupidità: non conosco bene Antonio ma per quel poco che ho visto mi sembra un cazzerellone (una persona allegra disponibile al gioco).

Cazziata / cazziatoneil rimprovero, l’atto del cazziare: si è arrabbiato molto con me e mi ha fatto un cazziatone terribile.

Cazzone – veramente stupido, colpevole di ingenuità senza giustificazioni, persona che parla a sproposito e comunque di scarsa intelligenza: ha sposato una donna di 50 anni più giovane di lui e non capisce che lei lo ha fatto per soldi: crede che sia innamorata! Che cazzone!

Cazzutofornito di tutti gli attributi, veramente di alto livello, in gamba: ha fatto un bel discorso cazzuto!

Incazzatural’atto dell’incazzarsi, arrabbiatura: adesso l’incazzatura mi è passata, ma fino a ieri ero proprio nero!

Fancazzismo – la filosofia del non fare un cazzo, l’arte del non fare niente, pigrizia, immobilità: in quell’ufficio sono tutti malati di fancazzismo

Fancazzista – Malato di fancazzismo, fannullone: certo che non trova lavoro! Chi lo assume un fancazzista come lui?

Incazzoso irascibile, impulsivo, pronto ad arrabbiarsi: come mai sei così incazzoso? Ti è successo qualcosa?

Rompicazzodisturbatore. A volte è detto benevolmente (che rompicazzo il mio dottore: dice sempre che devo smettere di fumare!), altre volte in modo davvero infastidito (tutti i giorni mi telefona un rompicazzo che mi propone un nuovo contratto telefonico!).

Scassacazzi come rompicazzo ma più marcato: i miei vicini di casa sono dei veri scassacazzi.

Scazzo – litigata.

Supercazzolainvenzione linguistica nel film di Mario Monicelli Amici miei, una delle parole inserite in un discorso non-sense che confonde l’interlocutore. L’intero discorso non-sense è oggi definito supercazzola.

Gli eufemismi

Eufemismo è un modo di sostituire l’espressione diretta di idee o concetti ritenuti sgradevoli, o censurati dal “comune senso del pudore”, con espressioni velate, che designano per vie indirette ciò che non si vuole chiamare col suo nome25.

Per grandi linee si può affermare che gli eufemismi si usano soprattutto per velare parole che in qualche modo ci fanno paura (perbacco invece di per dio, ostrega invece che ostia, un brutto male invece che cancro); per manipolare un concetto a nostro vantaggio (missione di pace invece che guerra, ritocco delle tariffe invece che aumento), per rispetto del politicamente corretto (terza età invece che vecchiaia, paese in via di sviluppo invece che sottosviluppato)26.
La stragrande maggioranza degli eufemismi riguarda però la sfera della sessualità (donnina allegra per prostituta, casa chiusa per bordello, andare a letto con qualcuno per fare sesso) e in particolare gli organi a questa sfera collegati (fondoschiena per culo, zebbedei per coglioni, parti basse per quello che pensate): neanche a dirlo, il numero di eufemismi per esprimere la parola cazzo è assolutamente spropositato.

Notissimo è il sonetto di Giocchino Belli, Er padre de li santi, in cui in soli 15 versi cita oltre quaranta modi (in gran parte romaneschi) per designarlo:

Er cazzo se pò ddí rradica, uscello,
ciscio, nerbo, tortore, pennarolo,
pezzo-de-carne, manico, scetrolo,
asperge, cucuzzola e stennarello.
Cavicchio, canaletto e cchiavistello,
er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo,
attaccapanni, moccolo, bbruggnolo,
inguilla, torciorecchio, e mmanganello.
Zeppa e bbatocco, cavola e tturaccio,
e mmaritozzo, e ccannella, e ppipino,
e ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio.
Poi scafa, canocchiale, arma, bbambino:
poi torzo, crescimmano, catenaccio,
mànnola, e mmi’-fratello-piccinino.
E tte lascio perzino
ch’er mi’ dottore lo chiama cotale,
fallo, asta, verga, e mmembro naturale.
Cuer vecchio de spezziale
disce Priàpo; e la su’ mojje pene,
seggno per dio che nun je torna bbene
27

Ma al di là delle numerose parole regionali che lo esprimono (minchia siciliano, pirla lombardo, belin ligure, ciula piemontese, bischero toscano ecc.) in italiano standard ci sono decine e decine di oggetti, di ortaggi, di nomi astratti, strumenti musicali ecc. che possono designarlo.
Fra gli eufemismi alcuni possono essere classificati come semplici “deformazioni” che si utilizzano in luogo della parola censurata per via di una certa assonanza fonica (fra i più diffusi cacchio, caspita, capperi
28, cazzarola, kaiser, cavolo); altri (come uccello) hanno antica tradizione metaforica che risale se non alla notte dei tempi almeno a moltissimi secoli fa29.
Nella lingua scritta poi una particolare forma di eufemismo ancora oggi abbastanza diffusa è quella di scrivere c…, una c seguita da tre puntini:
non ha capito un c…, che c… ha detto?

Ma nella maggioranza dei casi gli eufemismi, antichi e moderni, sono parole che richiamano il termine censurato per una qualche relazione di forma o di uso. Solo fra quelli più documentati citiamo:

affare; ammennicolo; antenna; arma; arnese; asta; attrezzo; bacchettone; balestra; banana; bastone; batacchio; batocco; battocchio; bigolo; biscotto: cannocchiale; cannone; catenaccio; cetriolo; chiavistello; chiodo; cippa; ciufolo: clarinetto; clava; cosa; coso; cosone; fagotto; fava, flagello; flauto; fucile; gingillo; lancia; manganello; manico; mazza; membro; mentula; moccolo; nave; nerbo; nerchia; obelisco; ordigno; organo; pacco; palo; pannocchia; pendolo; pendolone; pene; pennello; pertica; pesce; piffero; piolo; pipino; pipolo; pirolo; pirulino; pisello; pistola/pistolino: pistone; proboscide; randello; salame; salsiccia; sberla; scettro; spada; spiedo; spuntone; strumento; sventrapapere; trapano; tubo; vanga; verga; walter; zeppa; zucchina; zufolo30.
 

USI E ATTESTAZIONI POST 68

Radio: “Voi e io, punto a capo”, 25 ottobre 1976

Cesare Zavattini, lo sceneggiatore dei grandi film di Vittorio de Sica come Ladri di Biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D, L’oro di Napoli, La Ciociara, Il giudizio Universale, Ieri, oggi, domani, Matrimonio all’italiana, i Girasoli, ma anche di Bellissima di Luchino Visconti o di Il Sicario di Damiano Damiani, è stato un intellettuale dalle mille sfumature, scrittore, sceneggiatore di fumetti, commediografo e anche pittore.
Ai microfoni di Radio Rai, un giorno del 1976, ha fatto tremare le vene ai polsi del regista della trasmissione e saltare sulla sedia gli ascoltatori dicendo: “E adesso dirò una parola che finora alla radio non ha mai detto nessuno”. Una pausa in silenzio e poi: “Cazzo…” pronunciò31.
Si dice che questa sia stata la prima volta che in radio si sia pronunciato il termine tabù. E, dopo le inevitabili, prevedibili e inutili polemiche in merito, da allora certamente il termine ha acquisito nuova dignità (o come direbbe Eco
32) un nuova innocenza.
Bizzarro che il regista della trasmissione radiofonica, certamente non entusiasta della licenza di Zavattini, fosse Beppe Grillo. Chissà se il suo linguaggio politico di quarant’anni dopo e la sua invenzione del Vaffa day non abbia risentito di questa esperienza.

Televisione: Rai 1, aprile 2001


Sulla rete nazionale, in prima serata, va in onda una (bella) trasmissione di Adriano Celentano che, per volontà dell’autore, si intitola “125 milioni di cazzate”.
Veri o falsi che fossero, i dibattiti e le discussioni (oltre agli inevitabili pubblici pareri) intorno all’opportunità di usare questa parola, hanno riempito le pagine dei giornali per settimane, prima e durante il programma che poi è andato in onda settimanalmente fino al mese di maggio con il titolo, graficamente purgato, di “125 milioni di caz…te”.
Solo per dare idea di quanto ancora l’argomento sembrasse degno di nota, riportiamo qui alcuni commenti d’epoca33:

Riccardo De Corato, Franco Pontone e Salvatore Ragno (senatori di Alleanza Nazionale, partito di destra): "Se si ricorre alla volgarità fin dal titolo per far parlare del proprio programma, vuol dire che Celentano e la sua ben nutrita pattuglia di autori, capeggiata da Michele Serra, non hanno più idee"

Gustavo Selva, presidente dei deputati dello stesso partito"La Rai, servizio pubblico, ha definitivamente abdicato al suo ruolo fondamentale. Con le 'cazzate' si ottiene, per di più utilizzando i soldi dei contribuenti, il risultato opposto"

Giovanni Nencionipresidente emerito dell'Accademia della Crusca, custode della tradizione linguistica italiana: "La scelta provocatoria di Celentano non può di per se essere censurata da un punto di vista strettamente linguistico, perché si tratta di una parola a tutti gli effetti italiana e assai diffusa, anche se ancor oggi respinta da un pubblico di cultura medio alta o lontano alle cadute di gusto".

Oliviero Toscanipubblicitario: "Finalmente il coraggio di sposare il linguaggio della gente, Rai o non Rai: era ora che si iniziasse ad avvicinare il linguaggio televisivo a quello parlato. E' assurda questa discrasia tra il modo di parlare, i termini e le espressioni usati comunemente dalla gente e il modo in cui i mezzi di informazione, e soprattutto la televisione, comunicano"

Giulio Romieripresidente della BRW & Partners"Per il nuovo programma di Celentano si è assistito ad una vera e propria campagna pubblicitaria, pianificata dalla a alla z, ideata e realizzata per creare aspettativa e per farne parlare. Sicuramente il titolo farà discutere, ma fa parte del personaggio: è stato studiato ad hoc"

Pippo Baudo, presentatore televisivo"Il titolo non è che sia volgare, è soprattutto inutile. Mi ricorda i bambini che vogliono dire una parolaccia per stupire a tutti i costi e dimostrare che sono adulti. Oltretutto, non è più neanche una parolaccia...".

Giuseppe Giuliettideputato dei Democratici di Sinistra"È una autentica "cazzata" aprire un dibattito sul titolo di una trasmissione. Mi rendo conto che l'espressione non è oxfordiana, ma a Montecitorio ho sentito di peggio"

Fabio Mussicapogruppo alla Camera dei Democratici di Sinistra"L'importante è evitare di fare "cazzate" in tv. Sarebbe meglio proibire in tv le apparizioni di Bossi, che dice cose molto più gravi e pesanti"

Mario Landolfipresidente della Commissione di Vigilanza della Rai (destra):"Celentano è Celentano e quindi non ha bisogno di stupire a tutti i costi per fare audience" 

Vittorio Emiliani (consigliere Rai, di sinistra): "Celentano ha scelto per il suo titolo una delle parole più usate nel parlare quotidiano. Farne materia di scandalo è curioso"

L'Osservatorio dei diritti sui minori parla di "insulto perpetrato principalmente ai danni dei soggetti in età evolutiva" e Antonio Marziale invita la Chiesa a "ritirare la licenza di trasmettere le funzioni liturgiche su RaiUno"

Il MOIGE (Movimento italiano genitori) assolve Celentano. "Ben venga un gergo entrato nell'uso comune della gente, specie dei giovani", spiega Maria Rita Munizzi:"Siamo perplessi di questo facile e banale moralismo con cui si mette all'indice un linguaggio più deciso"

I Frati Francescani di Assisi si inseriscono nel dibattito con un detto latino:"Sapientis est mutare consilium". Tradotto: "Cambiare idea è cosa saggia"Padre Enzo Fortunato, portavoce del Sacro convento, spiega: "Ci siamo espressi in latino perché crediamo nell'intelligenza di chi è chiamato a gestire il servizio pubblico". 

Cinema

Tanto va la gatta al lardo34, film a episodi di Marco Aleandri, 1978
Episodio 4: Processo per direttissima, con Luciano Salce, Carlo Hinterman e Stefano Satta Flores

Nello scompartimento di un treno, occupato da persone d’alto bordo che rappresentano l’Italia perbenista e conservatrice (un magistrato, un generale, una nobildonna, uno studente di giurisprudenza e un sacerdote) entra un tifoso del Napoli rozzo e ignorante, reduce dall’aver visto una partita allo stadio.
Per il suo linguaggio sboccato il magistrato lo incrimina minacciandolo di comminargli svariati anni di reclusione:
Il napoletano, sgomento, si difende:
- Ma tu che cazzo stai dicendo? Ma che cazzo vai trovando? Da dove cazzo vieni? Dove cazzo vai? Chi cazzo sei? … Ma perché io che cazzo ho fatto? … Io tengo certi cazzi che mi ballano per la testa…!
Alle ulteriori minacce del magistrato reagisce dicendo:
- A casa mia c’è scritto: a chi mi rompe il cazzo gli rompo il mazzo
Nel sentire parlare di leggi commenta:
- Ecco un’altra legge del cazzo fatta da questo cazzo di ministro… Sì, ministro di sto cazzo!
La sua situazione allora giuridicamente si aggrava e il prete è pronto a testimoniare contro di lui.
- Ma io che cazzo ho fatto, che cazzo ho detto? E adesso abbiamo anche il supertestimone del cazzo!
Se non la finisci di rompere il cazzo ti faccio un mazzo così e ti butto dal treno!
Il giovane studente di giurisprudenza gli consiglia di tacere per non aggravare la sua situazione.
- Tu fatti i cazzi tuoi! Questo è un paese del cazzo
E scoperto che offendere uno stato nazionale è reato aggiunge:
- La Svizzera è un paese che fa schifo al cazzo
!

Libri: Porci con le ali e altri titoli

Nel 76 esce il romanzo Porci con le ali, con sottotitolo diario sessuo-politico di due adolescenti, Rocco e Antonia35. Il romanzo vuole rappresentare le esperienze umane e politiche dei due giovani protagonisti, calandole nel contesto culturale dell’atmosfera universitaria di quegli anni (siamo poco prima delle rivolte studentesche del 77 e due anni prima dell’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse).
Il libro scandalizza i benpensanti sia per il contenuto sia per il linguaggio che- volenti o nolenti – corrisponde però a quello più usato dai giovani del periodo.
Il termine cazzo è ripetuto 87 volte. In 85 pagine. In conversazioni più o meno di questo tenore:
«Aho, Antonia, che cazzo succede? Sei incazzata? Ti ho fatto qualcosa? Perché cazzo non rispondi, lo sai che mi fai diventare scimunito. Hai litigato con tua madre?»
Per quanto riguarda più in particolare i libri pubblicati che abbiano nel titolo un’espressione volgare o una parolaccia, è stato calcolato che rispetto agli anni ’60, i libri con un titolo volgare sono aumentati di 13 volte negli anni ’90 e di 29 volte negli anni 2000. Se la tendenza resterà costante, entro la fine di questo decennio saranno aumentati di 36 volte
36. Non che nel passato questi fossero assenti (abbiamo già citato la Cazzaria del 1531): ma l’aumento di occorrenze volgari certamente è esponenziale.

Non è necessario fare troppi esempi: dalla (divertentissima) serie Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano
37 del 1997, al romanzo di Aldo Busi Cazzi e canguri (pochissimi i canguri)38 del 2002, fino al certamente meno pretenzioso libro della cantante Gianna Nannini Cazzi miei39 del 2016, il repertorio è estremamente vasto.


Canzoni

Va detto naturalmente che la canzone è stata da sempre il “luogo pubblico” dove arrischiarsi con una certa spregiudicatezza nel turpiloquio, almeno nel caso di canzoni destinate a un pubblico che si definisce “di nicchia” e non certo radiofonico o televisivo (pensiamo alle osterie o ai canti goliardici); ma anche in tempi un pochino più puritani dei nostri se non il turpiloquio almeno il doppio senso nelle canzoni poteva far parte del gioco (il Kobra che Donatella Rettore canta negli anni Settanta o il gelato al cioccolato che il Pupo canta negli anni Ottanta non sembrano propriamente riferirsi a dolciumi e a serpenti).
Studi “numerici” sulle parolacce nelle canzoni sono stati fatti, al solito, dall’attento studioso della materia Vito Tartamella
40: il re del turpiloquio nelle canzoni italiane è senz’altro Fabri Fibra (e il suo album del 2004 “Mr Simpatia”, anche se in realtà tutta la sua produzione è ad alto tasso di turpiloquio). Nella classifica resistono ancora due “classici” come “L’avvelenata” di Guccini e “L’inno del corpo sciolto” di Benigni, ma è soprattutto la rabbia delle invettive a produrre il maggior numero di canzoni volgari.
Non staremo qui a citare i fin troppo numerosi esempi a disposizione: basterà ricordare per quanto riguarda il repertorio umoristico la rielaborazione di Gigi Proietti del celebre brano francese Ne me quitte pas di Jaques Brel, tradotto con Nun me rompe er ca (1978). Per quanto riguarda canzoni in dialetto ricordiamo Je so pazzo di Pino Daniele con il verso Je so’ pazzo, je so’ pazzo, nun ce scassate ‘o cazzo! (1979). E per le canzoni con testo in italiano basterà ricordare solo il verso so quello che faccio e sento di fare questo e tu non c’entri un cazzo, amico, da Nessun pericolo per te di Vasco Rossi (1996).

Politica e linguaggio giornalistico

Del linguaggio volgare della politica se n’è occupato di recente Giuseppe Antonelli: dal «Votami perché parlo meglio (e dunque ne so più) di te» si è passati al «Votami perché parlo (male) come te». Come la pubblicità, come la televisione, anche la politica alimenta il narcisismo dei destinatari, i quali – lusingati – preferiscono riflettersi che riflettere. Il meccanismo del ricalco espressivo innesca una continua corsa al ribasso. Un circolo vizioso che toglie al discorso politico qualunque forza propulsiva, qualunque dinamismo41. Gli esempi sono superflui.
E per quel che riguarda il linguaggio dell’informazione, carta stampata e soprattutto informazione online la situazione non è troppo diversa. Diceva De Mauro qualche tempo fa:
negli anni Settanta e Ottanta le parolacce esistevano naturalmente, ma non comparivano con grande frequenza ed erano piuttosto marginali: non apparivano negli scritti né sui giornali, ma prevalentemente nell'avanspettacolo. Invece adesso dilagano. Soltanto i testi accademici sono, almeno per ora, privi di male parole. Ma giornali, letteratura, romanzi, teatro, cinema, televisione, perfino aule giudiziarie, vedono frequentemente occorrere il gruppetto delle male parole più clamorose. E per dirla tutta sulla stampa sono più presenti che nel parlato comune. I giornalisti si compiacciono nell'usarle42.
Anche qui gli esempi sono superflui: ma basterà digitare la parola in analisi sul motore di ricerca Google-notizie per aver un repertorio infinito di quello che De Mauro rilevava, repertorio (ci sia a questo punto consentita un’opinione personale) francamente poco edificante e molto fastidioso.



NOTE

[1] LIP, TULLIO DE MAURO e al., Lessico di frequenza dell’italiano parlato, 1993, Milano, Etas Libri

[2] GIUSEPPE ANTONELLI, Lingua, in Modernità italiana. Cultura, lingua e letteratura
dagli anni settanta a oggi
, a cura di Andrea Afribo e Emanuele Zinato, Carocci, Roma, 2011.

[3] ITALO CALVINO, Una pietra sopra: discorsi di letteratura e società, Einaudi, 1980

[4] UMBERTO ECO, La bustina di Minerva, Bompiani 2011: sul cazzeggio 1999)

[5] TULLIO DE MAURO, Le parole per ferire, 27 settembre 2016, in Internazionale, https://www.internazionale.it/opinione/tullio-de-mauro/2016/09/27/razzismo-parole-ferire

[6] Etimo cattia, Vocabolario Etimologico Italiano di Angelico Prati (1951): l’ipotesi etimologica è condivisa da Nora Galli de Partesi, Le brutte parole, semantica dell’eufemismo, Mondadori 1973

[7] Etimo ocazzo, F. Crevatin , Breviora Etymologica. In Paideia, XXXII, soluzione per cui propende il Bolelli, in Dizionario etimologico della lingua italiana. Milano 1989

[8] Etimo akation, C Battisti – G Alessio Dizionario etimologico italiano (DEI). Firenze 1954 Barbera.

[9] Etimo capitium , Ottorino Pianigiani Vocabolario etimologico della lingua italiana. Roma, 1907, idea definita “improponibile” da Paolo Martino in “Capperi, preistoria di una esclamazione” in Scritti in onore di Eric Pratt Hamp, 2010

[10] Etimo capulum in Paolo Martino (cit. in nota 7)

[11] Etimo catulus, Leonardo Angelici in http://www.latramontanaperugia.it/articolo.asp?id=5140

[12] Etimo capitiare, Lupis A. (2002). La lingua dei lanzi fiorentini con una nuova ipotesi su it. cazzo. In Johannes Kramer (Hrsg.), Italienische Sprache und Literatur an der Jahrtausendwende: Beiträge zum Kolloquium zu Ehren von Ignazio Toscani (Trier, 19. und 20. Januar 2001). Buske Verlag, 39-58.

[13] Glossario latino-eugubino (GLE) , Maria Teresa Navarro Salazar 1985. Codice: A,4,5 della Biblioteca del Real Seminario de San Carlos (Saragozza). Il codice miscellaneo consta di 133 fogli, di cui 73 riservati alla trattazione di aspetti morfosintattici della lingua latina e ai lessici latini (tra cui si trova anche il nostro glossario, da 61r a 86r).  L’autore è Ugovino Angeli, magister e console del quartiere di S. Martino a Gubbio. La datazione risale alla prima metà del Trecento, e probabilmente al suo secondo venticinquennio (periodo di tempo durante il quale Ugovino ricoprì la carica di console a S. Martino). Il codice è invece più tardo: il termine a quo è individuato da Navarro Salazar in alcuni anni prima del 1364 e quello ad quem nel 1418.

[14] L' onomastica ferrarese del primo Trecento e gli instrumenta fidelitatis, di Carla M. Sanfilippo, Libreriauniversitaria, 2016

[15] TLIO, Tesoro della Lingua Italiana delle Origini, diretto da Pietro Beltrami, 2012, in http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/

[16] Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Ricciardi, Milano-Napoli, 1960

[17] I sonetti di Meo dei Tolomei si trovano in Poeti giocosi del tempo di Dante, a cura di M. Marti, Milano 1956, in Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, a c. di M. Vitale, Torino 1956, 7-60

[18] I versi di Franco Sacchetti sono recuperati in Valter Boggione e Giovanni Casalegno, Dizionario storico del lessico erotico italiano, Longanesi & C., Milano 1996, p. 215.

[19] Il Candelaio di Giordano Bruno in Internet http://www.filosofico.net/candelaio.htm, prima edizione Parigi 1582

[20] ANTONIO VIGNALI (Arsiccio Intronato)La cazzaria; testo critico e note a cura di Pasquale Stoppelli ; introduzione di Nino Borsellino. - Roma : Edizioni dell'Elefante, [1984]. Il testo fu pubblicato per la prima volta a Venezia intorno al 1531.

[21] PIETRO ARETINO Sonetti Lussuriosi, edizione critica e commento di Danilo Romei, Banca Dati Nuovo Rinascimento 2013, online: http://www.nuovorinascimento.org/n-rinasc/testi/pdf/aretino/sonetti.pdf . Pubblicati nel 1526.

[22] GIUSEPPE ANTONELLI Comunque anche Leopardi diceva le parolacce, Mondadori 2014, p.115

[23] GIUSEPPE ANTONELLI 2014, p. 119

[24] G. BELLI, Tutti i sonetti romaneschi, Newton & Compton, 2005. I sonetti di Belli sono stati scritti per lo più nella prima metà dall’Ottocento

[25] BICE MORTARA GARAVELLI, Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche, Roma - Bari, Laterza 2010

[26] URSULA REUTNER, Eufemismo e lessicografia. L’esempio dello «Zingarelli», in Studi di Lessicografia italiana, vol. XXXI, 2014

[27] G. BELLI, Tutti i sonetti romaneschi, cit. in nota 24

[28] PAOLO MARTINO, cit. nota 9

[29] R. TARTAGLIONE, Tapina ahimé un caso curioso, in Filologia Italiana, anno XIV, n. 15, Ankara 1987: pp 46-54 il motivo dell’uccello nella tradizione della lirica medievale neolatina e germanica

[30] Una accuratissima raccolta di eufemismi sia per l’organo sessuale maschile sia per quello femminile, con tavole comparative fra lingue diverse, in ERCOLE SCERBO, Il nome della cosa, nomi e nomignoli degli organi sessuali, Oscar Mondadori 1991

[31] L’episodio dello sdoganamento radiofonico della nota parolaccia da parte di Zavattini molto noto. È stato ricordato ultimamente da FERRUCCIO DE BORTOLI in Poteri forti (o quasi), Mondadori 2017

[32] UMBERTO ECO, citato in nota 4

[33] In MATDID, materiali didattici online di italiano per stranieri di Scudit Scuola d’Italiano Roma, a cura di Roberto Tartaglione, in http://www.scudit.net/mdcelen_reazioni.htm

[34] La scena di cui parliamo è oggi in youtube https://www.youtube.com/watch?v=ksv1_0R7GvQ

[35] LIDIA RAVERA, MARCO LOMBARDO RADICE, Porci con le ali, Bompiani 1976

[36] VITO TARTAMELLA, I libri e la moda dei titoli volgari, http://www.parolacce.org/2016/08/11/libri-con-parolacce-nel-titolo/

[37] GINO & MICHELE Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano, Baldini e Castoldi, 1997 che riprende nel titolo in realtà da una celebre battuta dell’umorista Marcello Marchesi

[38] ALDO BUSI, Cazzi e canguri, Mondadori 2002

[39] GIANNA NANNINI, Cazzi miei, Mondadori 2016

[40] VITO TARTAMELLA, le canzoni più volgari d’Italia, http://www.parolacce.org/2011/10/19/le-canzoni-piu-volgari-ditalia/ , 2011

[41] GIUSEPPE ANTONELLI, Volgare eloquenza: come le parole hanno paralizzato la politica, Laterza, Tempi Nuovi, 2017

[42] Intervista a Tullio De Mauro in http://www.quotidiano.net/cultura/de-mauro-parolacce-1.2796138 pubblicato il 5 gennaio 2017