Matdid, materiali didattici di italiano per stranieri a cura di Roberto Tartaglione e Giulia Grassi, Scuola d'Italiano Roma

 
 

Giulia Grassi

 

GLI  ITALIANATI

  
Il nome non fa l'italiano (così come l'abito non fa il monaco)
 

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In "A room with a view" Edgar Morgan Forster fa dire a Cecil, uno dei protagonisti, di sentirsi un inglese italianato, e quindi pressappoco un diavolo incarnato. Quanto è ampia questa categoria di italianati fra gli artisti stranieri?
 
Andiamo a Firenze dove nella seconda metà del XVI secolo lavora uno scultore molto bravo, il Giambologna. Siano nel periodo dominato dall'arte della Maniera (o Manierismo).
Sotto la Loggia dei Lanzi, in Piazza della Signoria, c'è una delle sue opere più famose: Il ratto delle Sabine, del 1581-83. Si tratta di un gruppo statuario in marmo alto  4,10 metri, caratterizzato da un grande dinamismo creato dalla posizione dei corpi, che suggeriscono un ritmo avvitato e pluridirezionale, e un senso di instabilità. La scultura è una forma aperta nello spazio, poiché i gesti e la torsione dei corpi ci spinge a girare intorno all'opera per poter seguire bene tutti i particolari della scena. È una scultura che anticipa il barocco.
Nonostante il nome così italiano, l'autore è in realtà un fiammingo, Jean de Boulogne. Nato a Douai nel 1529, è venuto in Italia nel 1555 e qui è rimasto fino alla sua morte, avvenuta nel 1608 nella città dove risiedeva, Firenze: è seppellito nella chiesa della Santissima Annunziata. 
 
Nel XVII secolo a Roma è molto apprezzato Claudio Lorenese (francesizzato Claude Lorrain), nome che nasconde in realtà un pittore di origine non italiana, Claude Gellée (o Gelée). Nato in Francia nel 1600, si è stabilito in Italia nel 1627 e qui è rimasto fino alla sua morte, nel 1682: tutta la sua storia personale ed artistica si è quindi svolta in Italia, a Roma. Si era specializzato nella pittura di paesaggio, diventando uno dei più
grandi paesaggisti del Seicento: sarà un modello per artisti come Constable e Turner.
Aveva
uno straordinario rapporto immediato con la campagna romana che studiava, come afferma il collega Joachim von Sandrart, «stando sdraiato nei campi prima dell'alba e fino a notte per imparare a rappresentare il dorato cielo mattutino, l'alba ed il tramonto». Il paesaggio naturale dei dintorni di Roma è lo sfondo di moltissime sue tele.
È stato un maestro nell'interpretare la mutevolezza della luce a seconda delle stagioni e delle ore del giorno, però nei suoi quadri non c'è istintività ma una studiata disposizione compositiva degli elementi naturalistici, spesso arricchiti da monumenti antichi, rovine e mitiche città greche. È perciò uno degli esponenti del paesaggio "eroico"
o classico.
CLAUDE  LORRAIN, Paesaggio con suonatore di flauto (Nancy, Musée des Beaux-arts)
 
Pochi anni prima dell'arrivo del Lorenese, a Roma aveva lavorato Gherardo delle Notti. Anche in questo caso il nome inganna: si tratta in realtà dell'olandese Gerrit van Honthorst. Nato a Utrecht nel 1590, era venuto in Italia all'età di vent'anni circa e qui era
GHERARDO DELLE NOTTI, Sansone e Dalila, olio su tela, cm 129 x 94 (Cleveland Museum of Art) rimasto fino al 1620, al servizio della celebre famiglia dei Giustiniani; era poi tornato in Olanda († 1656). Era chiamato "Gherardo delle Notti" perché dipingeva scene notturne, con uno stile molto personale che si era formato studiando  Caravaggio, Jacopo Tintoretto, Luca Cambiaso. 
Tra i suoi quadri più riusciti c'è questo con l'episodio biblico di Sansone e Dalila: Dalila, aiutata dalla sua vecchia ancella, è raffigurata mentre taglia a tradimento i capelli di Sansone, per annullare la sua forza. L'oscurità della notte è illuminata dalla luce di una candela,  al centro della composizione. La fiamma della candela illumina il giovane e attraente viso di Dalila, in forte contrasto con il viso attempato dell'ancella (come aveva fatto Caravaggio nella tela con Giuditta che decapita Oloferne).
 
Spostiamoci infine a sud, a Napoli. Qui si svolge la vicenda di Jusepe de Ribera, più noto come lo Spagnoletto, che ricorda un po' quella di Claude Lorrain. Nato a Jativa (Valencia) nel 1591, intorno al 1610 è venuto in Italia e dal 1616 si è trasferito a Napoli, dove ha vissuto e lavorato e dove è morto nel 1552 (è sepolto nella chiesa di Santa Maria del Porto a Mergellina).
All'inizio il suo modo di dipingere è molto influenzato dal luminismo di Caravaggio e i suoi quadri sono ricchi di effetti chiaroscurali. In un secondo momento accresce il suo interesse per il colore, soprattutto sotto l'influsso del cromatismo veneto (Tiziano e Tintoretto).
Realismo e drammaticità, contrasto chiaroscurale e colori preziosi formano una miscela di grande effetto, che ha garantito alla pittura dello Spagnoletto un grande successo, non solo a Napoli ma anche in Spagna, dove era molto celebre  presso la corte di Filippo IV.
SPAGNOLETTO, Apollo e Marsia, olio su tela, 182 x 232 cm, 1637 (Napoli, Museo Nazionale di San Martino)
 
Concludiamo il nostro percorso nel Regno di Napoli dove,  un secolo dopo, si svolge l'attività di Luigi Vanvitelli, architetto e ingegnere. Qui sembra essere tutto in regola: luogo di nascita Napoli, nel 1700, e di morte Caserta, nel 1773. È stato un precursore del Neoclassicismo e nelle sue opere si può vedere bene una linea di sviluppo fra i due estremi del tardo Barocco e del Neoclassicismo.
Ha lavorato a Roma (in San Pietro in Vaticano e in Santa Maria degli Angeli), e nelle Marche, ma la sua celebrità è legata soprattutto all'attività per Carlo III di Borbone, per il quale ha costruito, tra le altre cose, la Reggia di Caserta: lo scopo era quello di avere una reggia fastosa come quelle di altri capitali europee.
È il suo capolavoro. Il suo progetto,  realizzato solo in parte, prevedeva un grande edificio a pianta rettangolare, con quattro cortili interni e con due facciate uguali rivolte una sulla piazza d'Armi e l'altra su un enorme giardino, ricco di fontane e statue. Il palazzo ha 1200 stanze, 34 scale e 1970 finestre.
Reggia di Caserta, scalone centrale (dopo 1752)
Che c'entra Vanvitelli col discorso fatto finora?
C'entra, perché il suo papà si chiamava Gaspar van Wittel
(1652–1736), un pittore olandese autore di vedute di città, considerato il precursore del "vedutismo" settecentesco. Gaspar era venuto a Roma nel 1675, in occasione del Giubileo; e in Italia era rimasto, viaggiando per tutta la penisola, da Venezia a Messina passando per Bologna, Firenze, e Napoli. E aveva cambiato il suo nome in quello di Gaspare Vanvitelli, diventando un vero italiano, anzi, un "romano de Roma" (è morto nella sua casa di Campo de' Fiori). Suo figlio, nato a Napoli, si chiamerà Luigi Vanvitelli.